giovedì 21 agosto 2014

Omosessualità


L’identità sessuale

Per poter trattare il tema dell’omosessualità è indispensabile fare un passo indietro, cercando di definire prima di tutto cos’è l’identità di una persona. Essa costituisce la sua essenza fondamentale, ciò che realmente è un uomo: unità di materia (corpo) e forma (anima). A questo concetto si lega strettamente quello di “identità sessuale”, infatti la sessualità è un aspetto fondante dell’identità umana: siamo maschi o femmine sin dal momento del concepimento.  La sessualità, tuttavia, può essere distinta nelle sue parti, che se non sono collegate in maniera armonica possono portare a patologie, disordini o disturbi della sessualità umana. Questi aspetti sono: sesso biologico, sesso psicologico e orientamento sessuale. Per quanto riguarda il sesso biologico, esso può essere distinto in sesso genetico (determinato dai cromosomi X e Y), gonadico (responsabile dello sviluppo ormonale) e somatico (caratteri sessuali secondari). L’orientamento sessuale, invece, è la preferenza sessuale che dirige il comportamento sessuale. Il sesso psicologico, infine è composto dall’identità sessuale, che è la coscienza della propria appartenenza ad un determinato sesso e delle differenze con l’altro sesso, e dall’identità di genere, che è la consapevolezza del ruolo che gli individui del proprio sesso svolgono nella società.
A questo punto sorge spontanea una domanda: l’identità di una persona è predefinita o si forma nel tempo, seguendo gli influssi dell’ambiente in cui la persona stessa vive e cresce? Per cercare di rispondere a questa domanda si può fare riferimento al concetto aristo
telico di “natura”, che è il principio, presente in ogni cosa che guida la sua crescita e il suo sviluppo. Può essere considerata quindi una sorta di progetto, consiste in ciò che le cose sarebbero se non ci fossero interferenze negative. Dunque vige un rapporto molto complesso tra natura ed ambiente: il progetto dato dalla natura può realizzarsi pienamente solo se le condizioni ambientali lo permettono. Ma il fatto che talvolta l’ambiente impedisca il compiersi di questo progetto, non ne nega l’esistenza.
Come nelle piante e negli animali, anche nell’uomo è presente una natura, ovvero un progetto, che guida la formazione della sua identità. Questo progetto prevede, ad esempio, che il bambino maschio cresca, diventi uomo e si senta attratto dalle donne. Ma se vari fattori interferiscono durante questo processo, può avvenire che il bambino non riesca a sviluppare appieno la sua identità.
Un esempio chiarissimo di questa interferenza dell’ambiente è l’omosessualità.



L’omosessualità

Si definisce così un’attrazione stabile e prevalente nel confronti delle persone del proprio sesso. È quindi una tendenza, una preferenza, e in quanto tale non va a definire l’identità di una persona. Per questo motivo non si può parlare di omosessuali, perché questo termine sottintende un ruolo fondamentale della preferenza sessuale nel costituire l’essenza di un uomo, ma solo di persone con tendenze omosessuali. L’omosessualità, inoltre, non è determinata dal comportamento omosessuale: ci sono persone eterosessuali (quindi attratte dal sesso opposto) che però hanno rapporti omosessuali e persone con tendenza omosessuale che non hanno rapporti sessuali o li hanno con persone dell’altro sesso.
Importante è anche la distinzione tra persone omosessuali e gay. La parola “gay” infatti indica un’identità ideologico-politica, nella quale la maggior parte delle persone omosessuali non si riconosce, nonostante gli attivisti gay si siano auto-investiti del ruolo di portavoce del “mondo omosessuale”.


Omosessuali si nasce?

Un problema fondamentale è questo: l’omosessualità è naturale, come sostengono i gay? Tornando al concetto aristotelico di natura si può facilmente dare una risposta negativa: non insorgerebbe se non ci fossero interferenze ambientali nello sviluppo della persona. Nessuno, infatti, nasce omosessuale: sono stati portati avanti diversi studi scientifici che hanno escluso l’esistenza di una causa biologica dell’omosessualità, sia essa un gene, un ormone o un particolare tipo di cervello. Tra questi ne ricordiamo in particolare tre.
Il primo è lo studio condotto nel 1991 dal biologo statunitense Simon Le Vay (omosessuale e attivista gay), che sezionò alcuni cadaveri fra i quali quelli di uomini presumibilmente omosessuali. Le Vay scoprì che il terzo nucleo interstiziale dell’ipotalamo aveva dimensioni simili nelle donne e negli omosessuali, mentre risultava più grande negli uomini di cui non si conosceva l’orientamento sessuale. Chiaramente non può essere considerato attendibile un confronto tra l’ipotalamo di omosessuali e quello di uomini dall’orientamento sessuale sconosciuto. Inoltre bisogna tenere in considerazione la plasticità del cervello, il fatto che tutti i maschi studiati con tendenze omosessuali erano affetti da AIDS e che non si può escludere che un comportamento omosessuale influenzi parti dell’encefalo. Alla fine lo stesso Le Vay dichiarò: “Non ho provato che l’omosessualità è genetica, né ho trovato una causa genetica dell’omosessualità. Non ho dimostrato che omosessuali si nasce”.
Bailey&Pillard, invece, pubblicarono nello stesso anno uno studio su coppie di fratelli, uno dei quali con tendenze omosessuali, per rilevare eventuali ereditarietà dell’omosessualità. I risultati portarono alla netta esclusione di una causa genetica dell’omosessualità e avvalorarono l’ipotesi che sia proprio l’ambiente, e in particolar modo quello familiare, a determinarla. Infatti si verificò che dati due fratelli gemelli omozigoti (con lo stesso patrimonio genetico), se il primo è omosessuale, il secondo ha il 52% di probabilità di esserlo. Nonostante la percentuale sia alta, la concordanza dovrebbe essere del 100% per dimostrare la presenza di un “gene gay”. Tra due gemelli eterozigoti la percentuale scende al 22%, se i due fratelli non sono gemelli è il 9,2%, mentre se sono fratelli adottivi si alza al 10,5% (chiaro segno dell’influenza della famiglia).
Un terzo studio da considerare è quello condotto dal genetista Dean Hamer (anch’egli omosessuale e attivista gay), che si concentrò su un marcatore genetico che, secondo lui, giocava “qualche ruolo” in una minoranza di uomini omosessuali (fino al 30%). Ma che dire del rimanente 70% e degli uomini eterosessuali, dato che non fu verificato se anch’essi presentassero lo stesso marcatore? Hamer alla conclusione delle ricerche fu costretto ad ammettere che “nella maggior parte dei casi l’orientamento sessuale non è ereditario”.


Quali sono le cause dell’omosessualità?

Quali sono dunque le cause dell’omosessualità? Essenzialmente sono quattro: le relazioni familiari, quelle con i pari, le malformazioni fisiche e gli abusi sessuali. Un esempio di malformazione fisica che può portare ad una tendenza omosessuale può essere il labbro leporino (“Non potrò mai baciare qualcuno”), per quanto riguarda le relazioni con i pari, invece, può essere che un bambino particolarmente fragile non riesca ad inserirsi nel gruppo dei compagni di classe, ma venga da loro rifiutato e per questo scelga di “rifugiarsi” tra le bambine, che lo accoglieranno probabilmente con maggiore facilità, creando però confusione nello sviluppo della sua identità sessuale.
La componente comune, tuttavia, è l’incapacità del bambino di sentirsi degno di essere un uomo e quindi di svilupparsi ed affermarsi nella società in quanto tale. Questo accade facilmente nel momento in cui il bambino maschio inizia a staccarsi dalla madre e ad identificarsi nel padre: se il padre non è disposto ad accogliere il figlio, o, d’altra parte, la madre si dimostra troppo possessiva, il bambino non riuscirà a sentirsi all’altezza del genere maschile, di cui il papà è il principale rappresentante. Avrà quindi difficoltà a relazionarsi anche con i suoi pari e si sentirà privo di quel “pacchetto” di virilità che ogni uomo deve faticosamente costruire.
L’omosessualità non va pertanto considerata una malattia, ma piuttosto un disordine o un disturbo dell’identità di genere, ed in quanto tale può essere guarito.


Il cambiamento è possibile?


Joseph Nicolosi,
fondatore di NARTH (National
Association for Research
and Therapy of Homosexuality
Spesso gli attivisti gay affermano che se si “è” omosessuali, allora lo si è per sempre. Questo non è vero, infatti  moltissime esperienze cliniche e soprattutto testimonianze di vita (come quella di Luca di Tolve) dimostrano che è possibile cambiare.
Esiste, ad esempio, una terapia che si propone il tentativo di riparare le ferite originarie che hanno portato all’omosessualità, attraverso l’analisi delle cause della sofferenza, il superamento del senso di inadeguatezza nei confronti delle persone del proprio sesso e la costruzione di legami non erotizzati con queste persone.
Già negli anni ’60 lo psicoanalista Irving Bieber attestava che circa il 27% dei pazienti con tendenze omosessuali sottopostisi a un trattamento psicoanalitico avevano cambiato orientamento sessuale. Nel 2001, invece, lo psichiatra statunitense Robert Spitzer verificò che su 200 soggetti che non provavano attrazione verso il sesso opposto, il 67% dopo un trattamento psicoterapeutico riportavano un’attrazione eterosessuale significativa e stabile. Attualmente i massimi esponenti della terapia ripartiva sono van den Aardweg e Nicolosi. Il primo, in particolare, riprende l’idea di Adler secondo cui l’omosessualità derivi da un complesso di inferiorità nei confronti del proprio genere sessuale di appartenenza. Per questo motivo fonda la propria psicoterapia sul superamento dell’espressione più tipica di questo complesso, ovvero l’autocommiserazione, combattuta efficacemente con l’autoironia, per poi passare ad un atteggiamento di apertura verso gli altri e verso il mondo.
Luca di Tolve: la sua potente testimonianza
di ex-omosessuale dimostra che è possibile
cambiare.
È importante ricordare che, secondo alcune statistiche, circa un terzo delle persone con tendenze omosessuali che si sottopongono ad una psicoterapia per cambiare orientamento sessuale raggiungono il proprio obbiettivo, un terzo non cambiano orientamento, ma ottengono un miglioramento dell’identità globale della persona e infine un terzo vedono la persistenza dell’orientamento omosessuale. Tuttavia bisogna sottolineare che si hanno risultati molto simili percentualmente per qualunque altro tipo di psicoterapia.


Quante sono le persone con tendenze omosessuali?

Al giorno d’oggi è in atto una vera e propria battaglia mediatica che punta alla normalizzazione del comportamento omosessuale e di conseguenza tende a “gonfiare” i dati riguardanti la sua percentuale di incidenza. In particolare gli attivisti gay sostengono che gli omosessuali rappresentano il 10% della popolazione, facendo riferimento alle ricerche di Alfred Kinsey, pubblicate nel 1948 nel volume “La sessualità maschile”, conosciuto anche come “Il rapporto Kinsey”. Tuttavia l’autore aveva pesantemente manipolato il campione di individui intervistati per ottenere questo dato: il 25% dei soggetti maschi intervistati erano detenuti per crimini sessuali,  l’unica scuola superiore presa in considerazione era un istituto in cui circa il 50% degli studenti aveva avuto contatti omosessuali, era stato intervistato un numero spropositato di “prostituti” maschi (almeno 200)… Inoltre vennero considerati “omosessuali” anche coloro che avevano avuto pensieri o contatti casuali nella prima adolescenza e vennero fatti sparire, per calcolare la percentuale, circa 1000 soggetti. Tutte queste manipolazioni vennero messe in atto da Kinsey per fornire delle basi scientifiche per una “nuova moralità” e per “educare il mondo” in base ad esse.
Le ricerche attendibili, invece, stimano che gli uomini con tendenze omosessuali stabili siano circa l’1-2% della popolazione, mentre per le donne la percentuale si abbassa ulteriormente.


Il matrimonio e le adozioni

Il matrimonio, che fonda la famiglia, non è un “modo di vivere la sessualità in coppia”: se fosse solo questo, si tratterebbe di una modalità in più tra le varie possibili. Non è neanche la semplice espressione di un amore sentimentale tra due persone: questa caratteristica è attribuita all'amore in generale nel quadro di un'amicizia. Il matrimonio è più di questo: è unione tra un uomo e una donna, che sono uguali in quanto persone, ma complementari in quanto maschio e femmina. La loro complementarietà sessuale e la fecondità che deriva dalla loro reciproca donazione appartengono alla natura stessa dell’istituzione matrimoniale. Le unioni omosessuali, dunque, sono profondamente differenti dal matrimonio e non posso essere equiparate ad esso per diverse ragioni.
La prima motivazione è di carattere puramente razionale: ogni legge posta dagli uomini deve essere conforme alla legge morale naturale, riconosciuta dalla retta ragione, e rispettare i diritti inalienabili di ogni persona. Di conseguenza, una legislazione non può conferire garanzie giuridiche analoghe a quelle dell’istituzione matrimoniale alle relazioni omosessuali perché andrebbe contro la retta ragione: legalizzandole verrebbe meno al dovere di promuovere e tutelare un'istituzione essenziale per il bene comune qual è il matrimonio. Inoltre bisogna sottolineare la differenza tra il comportamento omosessuale come fenomeno privato, e lo stesso comportamento quale relazione sociale legalmente prevista e approvata, fino a diventare una delle istituzioni dell'ordinamento giuridico. Il secondo fenomeno non solo è più grave, ma acquista una portata assai più vasta e profonda, e finirebbe per comportare modificazioni dell'intera organizzazione sociale che risulterebbero contrarie al bene comune, con l’ovvia svalutazione del matrimonio e la scomparsa di alcuni valori morali fondamentali.
Una seconda ragione è di ordine biologico e antropologico: le unioni omosessuali non possono assicurare adeguatamente la procreazione e la sopravvivenza della specie umana e perciò non devono essere legalmente riconosciute. Inoltre, l'assenza della bipolarità sessuale crea ostacoli allo sviluppo normale dei bambini eventualmente inseriti all'interno di queste unioni. Ad essi manca l'esperienza della maternità o della paternità, per questo inserire dei bambini nelle unioni omosessuali per mezzo dell'adozione significa di fatto fare violenza a questi bambini nel senso che ci si approfitta del loro stato di debolezza per introdurli in ambienti che non favoriscono il loro pieno sviluppo umano, andando contro il principio secondo cui i bambini sono in ogni caso la parte da tutelare, in quanto più debole ed indifesa.
Un motivo di tipo sociale, invece, sta nel fatto che la società stessa deve la sua sopravvivenza alla famiglia fondata sul matrimonio. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, a riguardo, dice che “La famiglia è la cellula originaria della vita sociale. È la società naturale in cui l’uomo e la donna sono chiamati al dono di sé nell’amore e nel dono della vita. L’autorità, la stabilità e la vita di relazione in seno alla famiglia costituiscono i fondamenti della libertà, della sicurezza, della fraternità nell’ambito della società”. La conseguenza inevitabile del riconoscimento legale delle unioni omosessuali, dunque, è la ridefinizione del matrimonio, che diventa un'istituzione la quale perde l'essenziale riferimento ai fattori collegati alla eterosessualità, come ad esempio il compito procreativo ed educativo. Se dal punto di vista legale il matrimonio tra due persone di sesso diverso fosse solo considerato come uno dei matrimoni possibili, il concetto di matrimonio subirebbe un cambiamento radicale e lo Stato si mostrerebbe neutrale di fronte a due modi differenti di vivere la sessualità, con grave danno al bene comune. Inoltre, bisogna ricordare che la discriminazione consiste nel trattare in modo diseguale coloro che si trovano nella stessa condizione, dunque non attribuire lo statuto giuridico di matrimonio a forme di vita che non sono né possono essere matrimoniali, non è discriminazione e non si oppone alla giustizia, ma anzi: è da essa richiesto.
Infine, vi è una motivazione di carattere giuridico: poiché le coppie matrimoniali svolgono il ruolo di garantire l'ordine delle generazioni e sono quindi di eminente interesse pubblico, il diritto civile conferisce loro un riconoscimento istituzionale. Le unioni omosessuali, invece, non esigono una specifica attenzione da parte dell'ordinamento giuridico, perché non rivestono alcun ruolo per il bene comune, ma anzi: possono essere ad esso nocive.
A queste motivazioni va aggiunto il fatto che in genere il matrimonio omosessuale non è il fine delle coppie omosessuali (soprattutto se formate da attivisti gay), ma un mezzo per “naturalizzare” l’omosessualità. Nella maggior parte dei casi non è desiderato realmente dalle coppie omosessuali: tanto più la relazione è aperta, tanto più essa ha possibilità di durare. Degli studi, infatti, hanno dimostrato che, mentre una relazione eterosessuale di 14 anni è considerata di breve durata, una relazione omosessuale di 5 anni è molto lunga.
Elton John e uno dei due figli comprati mediante
la pratica dell'utero in affitto.
Per quanto riguarda le adozioni di bambini da parte di coppie omosessuali, invece, è opportuno sottolineare il fatto che il “diritto al figlio” a cui si appellano non esiste, nemmeno per le coppie eterosessuali. Naturalmente non si può negare la sofferenza che provano le coppie omosessuali per la propria infertilità (che è comune a quella provata dalle coppie eterosessuali che non possono avere bambini), ma questa non è ragione sufficiente perché queste coppie ottengano il diritto all’adozione. Il bambino, infatti, non è un oggetto di diritto, ma un soggetto di diritto: il suo diritto è quello di avere una famiglia in cui avrà il massimo della possibilità di crescere nel migliore dei modi. Oltretutto, un bambino adottato deve già superare i traumi dell’abbandono e della doppia identità familiare, perciò è necessario che abbia due punti di riferimento: una madre, per riconciliarsi con la donna, e un padre, per conoscere la figura di un uomo senza il quale sua madre non avrebbe potuto dargli la vita.
Va infine ricordato che l’adozione esiste per dare una famiglia al bambino e riparare la sua situazione di sofferenza, non per sopperire alla sofferenza di una coppia che non può avere figli. Per questo motivo le esigenze e la serenità del bambino sono assolutamente prioritarie nella scelta della coppia che diventerà la sua famiglia adottiva.


Omofobia

Il termine “fobia” indica una paura intensa, esagerata, per situazioni, oggetti o azioni che il soggetto prova nonostante spesso non ne capisca la ragione e che sfocia in vere e proprie crisi d’ansia più o meno intense e paralizzanti (claustrofobia, aracnofobia…). È quindi chiaramente inopportuno definire chi non condivide l’ideologia gay “omofobo”, dato che la stessa “omofobia” non appare negli elenchi di fobie nei manuali diagnostici. Essa infatti non è una malattia, ma un atteggiamento di non condivisione dell’ideologia gay e di non approvazione nei confronti dell’omosessualità (che non significa, naturalmente, odio o disprezzo nei confronti delle persone con tendenze omosessuali).
Questo termine, tuttavia, è stato scelto inizialmente a carattere intimidatorio: se una persona vuole essere considerata ragionevole (quindi non malata, fobica), deve necessariamente condividere gli obbiettivi del movimento gay. Attualmente però quello che inizialmente era solo un’intimidazione, sta diventando sempre più una vera e propria minaccia: gli attivisti gay premono perché vengano approvate leggi che puniscano gli atteggiamenti definiti “omofobi”. L’omofobia, quindi, non è più considerata come una malattia, ma come un vero e proprio crimine, che può essere punito con sanzioni o addirittura con il carcere.
Spesso inoltre gli attivisti gay additano alla “società omofoba” la responsabilità dei vari disturbi psicologici delle persone con tendenze omosessuali (depressione, ansia, dipendenza da fumo, droga o alcool, tendenza al suicidio…), ma in realtà tutti questi problemi hanno una causa endogena connessa all’omosessualità stessa. Basti pensare che alcune ricerche dimostrano che anche in paesi decisamente favorevoli all’omosessualità il livello di sofferenza tra persone con tendenze omosessuali è molto alto (Sandfort e altri, 2001).


Omosessualità e Chiesa


Il Catechismo della Chiesa Cattolica ai numeri 2357, 2358 e 2359 tratta il tema dell’omosessualità, definendola un’inclinazione oggettivamente disordinata. Bisogna infatti ammettere l'esistenza di leggi immutabili, inscritte negli elementi costitutivi della natura umana, che si manifestano identiche in tutti gli esseri dotati di ragione. Queste leggi, volute da Dio per il pieno sviluppo e la santificazione dell’uomo, riguardano anche l’etica sessuale, cha ha un valore fondante nella vita umana. In questo campo esistono principi e norme che la Chiesa ha sempre trasmesso nei suoi insegnamenti, per quanto potessero essere opposti alle opinioni e ai costumi del mondo. Essi hanno origine dalla conoscenza della legge divina e della natura umana e quindi non possono ritenersi superati né messi in dubbio, col pretesto di una nuova situazione culturale. Sulla base di questi principi il Concilio Vaticano II ha dichiarato che è il rispetto della finalità dell’atto sessuale, ovvero la donazione reciproca e la procreazione umana, a garantirne l’onestà. Per questo motivo, secondo l'ordine morale oggettivo, le relazioni omosessuali sono atti privi della loro regola essenziale e indispensabile. Esse sono condannate dalla Sacra Scrittura come gravi depravazioni e poiché li atti omosessuali sono intrinsecamente disordinati, non possono ricevere in nessun caso alcuna approvazione.
L’inclinazione delle persone omosessuali in sé non è considerata un peccato, anzi: il Catechismo sottolinea che per la maggior parte delle persone in cui è profondamente radicata costituisce una vera e propria prova. Nonostante questo, però, costituisce una tendenza verso un comportamento intrinsecamente cattivo dal punto di vista morale, poiché contrario alla legge naturale. Gli esseri umani, infatti, sono creature di Dio, chiamate a rispecchiare, nella complementarietà dei sessi, l'interiore unità del Creatore. Essi realizzano questo compito in modo singolare, quando cooperano con lui nella trasmissione della vita, mediante la reciproca donazione sponsale. La Chiesa celebra nel sacramento del matrimonio il disegno divino dell'unione amorosa e donatrice di vita dell'uomo e della donna, per questo motivo solo nella relazione coniugale l'uso della facoltà sessuale può essere moralmente retto. Pertanto una persona che si comporta in modo omosessuale agisce immoralmente: l’attività omosessuale non esprime un’unione complementare, capace di trasmettere la vita e dunque impedisce la propria realizzazione e felicità perché è contraria alla sapienza creatrice di Dio.
Papa Francesco, nel 2010: "L’unione tra persone dello stesso sesso difetta
degli elementi biologici e antropologici propri del matrimonio e della famiglia.
È priva della dimensione coniugale e dell’apertura alla procreazione."
Naturalmente le persone omosessuali vanno comunque accolte con rispetto, compassione e delicatezza, a loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione e va deplorato con fermezza che siano state e siano ancora oggetto di espressioni malevole e di azioni violente. Simili comportamenti meritano la condanna dei pastori della Chiesa perché rivelano una mancanza di rispetto per gli altri: la dignità propria di ogni persona dev'essere sempre rispettata nelle parole, nelle azioni e nelle legislazioni.
Tuttavia, la doverosa reazione alle ingiustizie commesse contro le persone omosessuali non può portare in nessun modo all'affermazione che la condizione omosessuale non sia disordinata ed inoltre bisogna evitare la presunzione infondata e umiliante che il comportamento delle persone omosessuali sia sempre e totalmente soggetto a coazione e pertanto senza colpa. In realtà anche nelle persone con tendenza omosessuale dev’essere riconosciuta quella libertà fondamentale che caratterizza la persona umana e le conferisce la sua particolare dignità. Per questo motivo, la Chiesa chiama anche queste persone alla castità e, se sono cristiane, ad unire le proprie difficoltà al sacrificio della croce del Signore. 

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