venerdì 27 settembre 2013

Abbiamo un grande bisogno di 
formazione e di conversione
Daniela Fierro

Prendo sempre un libro per un viaggio.

In questa fine d'estate, sul treno per Tuscania, leggevo un nostro

poeta. Le ultime righe, prima che il treno si fermasse, dicevano:
"... vieni!
Ci scorderemo di quaggiù
e del male...
e del sangue rapido alla guerra...
...ad altre rive
vieni, ti porterò
alle colline d'oro..."
 L'invito di Dio è un invito d'amore. La sua voce, personale, intima -
"cor ad cor" - parla in lingue molteplici: forse è Dio - ho pensato -
che ora parla con me...





 Il monastero di Tuscania sta come un baluardo.
 Le sue mura spengono i rumori del mondo, e misteriosamente - da
finestre invisibili - aprono al Cielo il loro orizzonte.
 Antico e forte, e grande.
 Di matrice francescana, sul finire dell' Ottocento ha ricevuto il
sigillo di san Giuseppe, con una guarigione prodigiosa e l'umile segno
di una sedia, in una stanza, che si può ancora visitare.
 Lo sposo della Vergine custodisce amorosamente le suore che da due
anni ora vi abitano. Serve del Signore e della Vergine.
 Della loro povertà non ci si accorge. Danno tutto quello che hanno, e
Dio lo benedice e lo fa crescere.
 Per alcuni giorni i due distinti rami dell'unica famiglia religiosa,
maschile e femminile, si sono in parte riuniti: a decine, le suore e i
sacerdoti, futuri o già ordinati, in una ammirabile armonia basata
sulla semplice obbedienza, lavoravano insieme - senza apparire -
perché nulla ci potesse mancare.
 ( Sembrano - a guardarli - il moto perfetto delle stelle, l'ordine
silenzioso e felice del firmamento: sembra il Cielo! )
 Dio provvede, Dio ha cura di loro, e di noi.
 E quando arrivi, chiunque tu sia, è come se il Signore dell'universo,
proprio Lui, accogliesse te nella sua casa, in tutta la sua
magnificenza.





 "... a tutti sei venuto incontro, perché coloro che Ti cercano ti
possano trovare".
  Siamo venuti a cercare, Signore, qualcosa di Te.
  Poiché Tu desideri essere cercato.
 "Dio ha sete che si abbia sete di Lui". L'anima nosra ha sete di Te.



 Alle Giornate non c'erano, purtroppo, i "lontani"
 Gli atei, gli indifferenti, gli avversari più o meno violenti della
fede che chiamiamo "nostra". Nemici dichiarati, militanti o silenti,
dubitanti, diffidenti, della Chiesa o di ogni Credo.
  Nostri fratelli, ai quali abbiamo il dovere di donare quello che a
nostra volta abbiamo ricevuto - se ci sta a cuore la loro salvezza, se
li amiamo...
 Noi che eravamo alle Giornate dovremmo essere i "vicini", i credenti...
 E tuttavia abbiamo quella "sete".
 Di conoscerTi, Signore, di essere uniti a Te.
 Abbiamo un grande bisogno di "formazione" - direi: di conversione. Di
convertirci e conformarci, ancora, a Te.
 Così da diventare noi stessi una risposta.





"Qui non c'è mai nessuno che mi parli di te..." cantava qualche anno
fa una canzone.
 Non si parla di Dio. C'è di Lui, da tempo, un silenzio vasto, assordante.
 Fuori dalle chiese (a volte anche dentro...), e specialmente negli
ambienti di "cultura" cosiddetta "elevata", dove si dovrebbe insegnare
 ed imparare, Dio è taciuto, oscurato, dimenticato - non tanto
frainteso, quanto proprio cancellato.
 Come una vergogna. Un pericolo per la razionalità, una minaccia alla
libertà, una non- tollerabile offesa all'umanità.
 Tanti sono caduti in questo inganno - e a loro specialmente vorrei scrivere...
 L'intento delle Giornate sarebbe esattamente: capovolgere questo modo
di pensare e di fare.
 Dio è un bene tale, che senza di Lui tutto si perde. Non possiamo
farne a meno. Non è indifferente credere o non credere: la fede non è
un accessorio di lusso. Un ramo tagliato via dall'albero muore. Dio è
tutto il bene, è Lui la nostra vita.
 Questo è così importante che non possiamo tacerlo.



Qualcuno forse, in qualche momento, "sente" Dio, dentro di sé, ma
niente di più.
 Forse ancora Lo invoca segretamente...
 Ma bisogna anche avere il coraggio di dirlo.
 Il poeta che leggevo domandava:
 "Dio, coloro che ti implorano
  non ti conoscono più che di nome?
 ... E tu non saresti che un sogno, Dio?"
 No. Dio non è una fantasia sentimentale: è una realtà, una certezza,
una roccia.
 Solidamente esterno all'uomo, indipendente, trascendente.
 La ragione da sola può trovarlo, anche se appieno non può comprenderlo.
 Di Dio si può pensare. E si può parlare. Si può e si deve.
 Il santo vescovo di Ippona scrisse: "Mio Dio, che cosa può dire un
uomo quando parla di Te? Eppure, guai a quelli che di Te non parlano,
perché, pur parlando, restano muti".



 Dio fedele, nel quale è ragionevole aver fede.
 Pensare Dio. Dire Dio nel mondo.
 Questa l'idea di fondo delle Giornate.
 E sembra in provvidenziale corrispondenza con quella necessità che
nella "Lumen fidei" ha di recente richiamato il Papa: mostrare la
connessione della fede con la verità.
 La fede - ricordava l'Enciclica - non è una bella favola, una
illusione ingenua o una privata consolazione: la fede è verità.  Non è
un accecamento: è luce, vera e grande, oggettiva e comune,
condivisibile, comunicabile.






 E la verità impegna. Le scelte della vita, la vita.
 Non si tratta di un teorema che possa rimanere nel cerchio della pura
astrazione.
 La più ardua filosofia - Aristotele, san Tommaso - è strettamente
legata con la vita quotidiana e concreta.
 Se Dio esiste, tutto cambia. Ma la semplice ragione mostra che
l'esistenza di Dio è verità. Dunque non è lecito farsi padroni della
vita. C'è un confine inviolabile, una legge da rispettare, un ordine
in tutte le cose, un ordine nell'amore. C'è, soprattutto, un
fondamento di gioia: un essere amati, prima, da sempre. Una fonte
d'amore, inestinguibile.



 Nella conferenza di apertura la madre Anima Christi, superiora
generale delle Servidoras, ha detto:
 "La verità esige una sottomissione. E non tutti sono disposti a stare
in ginocchio..."
L'uomo è creato, non creatore. L'universo meraviglioso non ha in sé il
proprio fondamento, e con forza indica Dio. Si tratta di riconoscere
che Dio è più di me, che io non sono Dio, che non sono la fonte né la
legge, che la verità  è sopra di me.
Questa umiltà è quanto manca al nostro mondo, che si è fatto signore
onnipotente, e si ritrova poi da solo, e non sa come fabbricare la
sostanza perduta della gioia, e non può inventarsi l'amore.
 Chi ci toglie Dio ci toglie la possibilità di essere felici. La Sua
legge è legge di vita, di libertà, è perfezione della nostra umanità.
 La storia lo dimostra. Un solo esempio: la storia delle donne, che
nel diritto all'aborto hanno creduto di diventare libere, e hanno
trovato invece un dolore infinito.
 Sempre nuova strage di innocenti.
 E noi?
 Siamo Pilato? ( Quando non siamo, addirittura, Erode...)
 Dobbiamo assumerci la responsabilità di credere. Dobbiamo dire,
testimoniare, scegliere: schierarci dalla parte della verità che
abbiamo riconosciuto.
E questo costa. Ma questo ci libera.
Solo la verità ci rende liberi - può essere difficile, dapprima, ma
infine è liberante.





 L'aborto è un atroce delitto. L'essere umano non si riduce alla sua
corporeità.  L'amore esige sacrificio. La purezza è necessaria
all'amore.
 Erano alcuni dei temi sviluppati nelle conferenze.
 Tutto questo bisogna dirlo, ricordarlo, diffonderlo.
 Basterà, poi, dire, testimoniare, e anche pregare?
 Necessario, forse non sufficiente... Ma anche se non bastasse, noi
dobbiamo farlo.
 Le nostre parole, la filosofia veritiera, la compagnia orante, la
testimonianza vivente, toccano il cuore ?
 Solo Dio può farlo, per queste vie o per altre. Però noi possiamo aiutarlo.
 Nell'Olanda devastata dal nazismo Etty Hillesum ( una giovane ebrea,
che incontrò Cristo, poco prima di morire ad Auschwitz, meno che
trentenne ) scriveva: "Mio Dio, cercherò di aiutarti, affinché tu non
venga distrutto..."
 Aiutare Dio. Offrendogli quello che ognuno ha di meglio.





 Lasciare che Dio abiti le nostre parole, le nostre pagine, le
musiche, le storie...
 Abbiamo  in questo dei modelli grandissimi, neanche troppo distanti da noi.
 Due scrittori, di alta qualità letteraria, che hanno parlato di Dio,
in modo brillante, profondo e insieme divertente: il leggendario
mister Chesterton e il nostro Giovannino Guareschi, che ci sono stati
presentati, al termine delle Giornate, in una conferenza esemplare per
l'intreccio tra cultura, fede e testimonianza di vita.



Cinque giorni - poco più - nella luce serena di un convento.
Abbiamo coltivato l'allegria, la convivialità, la condivisione, il
domandare e rispondere, la fiducia reciproca, la fraternità.
"Come è bello e soave che i fratelli vivano insieme..."
Abbiamo forse dimenticato il male? O l'abbiamo fuggito?
 Arrivavano fino a noi, dall'Oriente in fiamme, le minacce della
guerra. E in molti portavamo, non cancellate, sofferenze di carne e di
sangue...
 No, non ci siamo "dimenticati di quaggiù". (Non è questo, del resto,
ciò che Cristo ci ha chiesto...)
 Al contrario: abbiamo cercato di guardare, dritto in volto, il male,
l'errore, il dolore...
 Ma non da soli: nella luce della Sua presenza.
 Luce che ama, riveste di bellezza, assume e redime, dà senso e valore
a ogni minimo frammento.
Come dice quel bel canto di chiesa: "Se Tu sei con me, o Signore, io
non temerò alcun male..."



 Dovrei dire qui quel che più mi ha colpito delle Giornate. Una buona
ragione per cui altri dovrebbero venire.
 Una sola? Sono così tante!
 Ma una ne  sceglierò. Quella che per me è stata - e resta -  la
prima. Ed è: la pazienza, la magnanimità, la mitezza, con cui questi
sacerdoti sono pronti ad ascoltare.
 Quasi sempre sono cose da niente, che solo a parlarne si dissolvono
come neve al sole... Ma loro le ascoltano, vogliono ascoltarle: come
se a ciascuno di loro importasse di ciascuno di noi.
 In quei giorni quasi non riposano, e sono giovani e molti sono
stranieri... E tuttavia stanno ad ascoltare una persona qualunque,
come me, da cui non hanno niente da ricevere se non mancanze...
 E ogni volta, di fronte a loro, mi dico: Questo è il Cuore di Cristo.
 Un cuore solo. Non importa l'ufficio - insegnare o cucinare, suonare,
cantare, predicare, correggere, consigliare, rallegrare... E' un cuore
solo: il Cuore di Dio , "ricco di misericordia, grande nell'amore".



 Alle Giornate, insieme ai religiosi, c'erano laici, giovani,
giovanissimi, famiglie intere, studenti, professori, lavoratori. E
molteplici occasioni di vita - abbiamo festeggiato non so quanti
compleanni e anniversari; e tutto era una festa.
 C'era un tempo per lo studio e per il gioco, per mangiare e  per
pregare, la musica e lo sport, l'Adorazione immobile e il cammino
veloce, l'Ostia tutta bianca e gli innumerevoli colori del duomo di
Orvieto che abbiamo visitato, il raccoglimento del Rosario nella sera
e le partite di calcio scatenate , e i salti pazzi e le grida di canto
per le strade, scene di commedia e un film commovente...
 " ...nulla disprezzi di quanto hai creato, ....Signore amante della vita".
 Era uno specchio di umana realtà, ricondotta a Dio, messa nelle Sue mani.
 Solo per dire: Signore, siamo qui, parlaci, guidaci, guariscici,
rimani con noi, le nostre vite cercano ancora Te, vieni, Signore, ad
abitarle, fa' di noi un cammino di speranza fra la terra e il cielo,
di là da ogni frontiera...



  Mi sono resa conto che ogni viaggio, in fondo, è una preghiera.
  Un appello al mistero  ( come, ad altro proposito, diceva Giovanni
Paolo II...)
  I frutti delle Giornate io non li conosco ancora; ma so per
esperienza che il più piccolo atto compiuto per Lui, di puro amore,
Lui lo ricambia con il centuplo. CercarLo è già una ricompensa, amarLo
è in sé una vittoria.
 Vale sempre mettersi in cammino e in gioco per Lui.
 E continuo pregando - ora che l'estate si allontana, il treno è
ritornato sui suoi passi, ricominciano la scuola, i mestieri e le
arti; e penso alle Giornate che fra un anno rinnoveremo, se Dio vuole,
migliorando...
 Ripeto quella bellissima preghiera che la Chiesa prega ai Vespri,
come intercessione, nella terza settimana, il lunedì:
 "A quanti cercano la verità, concedi la gioia di trovarla
e il desiderio di cercarla ancora, dopo averla trovata!"


Daniela



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