Nell’articolo del 28 Novembre abbiamo
affermato che la nascita della filosofia fin da subito ha riguardato anche
quelle che noi chiamiamo scienze matematiche, a cominciare dalla geometria che
possiamo definire come la rappresentazione
ideale della natura delle cose. Ma cosa intendiamo con questa frase?
Siamo abituati a fare una rigida
distinzione (se non una vera e propria divisione) tra le scienze, frutto in
particolare della visione positivista del XIX, che ci porta a ritenere le
discipline completamente autonome una dall’altra. Similmente si ritiene che una
specifica formazione si contrapponga ad un’altra, così chi studia economia non
studierà filosofia (dimenticando che le teorie economiche fondamentali sono
nate in ambito filosofico, basti pensare a Marx) e chi frequenta corsi di
medicina non studia storia dell’arte (utile invece per creare ambienti belli in
cui il paziente può sentirsi accolto e godere di un minimo di pace).

Gerarchicamente parlando, infatti,
seguendo la visione classica (oggigiorno, come accennato sopra, praticamente
abbandonata) più la materia è universale più essa sarà gerarchicamente
importante rispetto alle altre. Più essa sarà particolare, più essa sarà
gerarchicamente meno importante rispetto alle altre. E, si capisce benissimo,
non esiste materia più universale della filosofia in quanto, come abbiamo visto
nel I articolo di questa rubrica, essa riesce a rispondere alle domande più
profonde dell’uomo con un linguaggio universale.
Ma cosa c’entra tutto questo discorso
con il titolo di questo articolo (la
geometria è l’altra faccia della medaglia della filosofia)? Perché secondo
noi la materia (tra quelle che oggi noi chiameremo scientifiche) che maggiormente
si avvicina alla filosofia è la geometria in quanto essa, come la filosofia,
riesce ad entrare nella natura profonda delle cose contribuendo alla
demitizzazione del reale. Cos’è infatti la geometria se non la rappresentazione perfetta delle cose?
Per far questo la geometra entra
nella cosa e la studia nel profondo
riportandola poi alla forma originaria che
essa esprime a livello imperfetto. La geometria inoltre rappresenta ogni cosa nei caratteri comuni delle cose ma sempre in
chiave astratta, vale a dire tramite
le due dimensioni, tralasciando ciò che invece di cui noi abbiamo esperienza
tutti i giorni: la solidità delle cose. Riflettiamo un momento: esiste il
cerchio? O esistono cose che hanno una forma circolare? Similmente, esistono
cose che non hanno volume? No, ovviamente[1].
Perché allora la geometria non li rappresenta nelle 3 dimensioni (facendo cioè
dei modellini in scala) bensì nelle 2 dimensioni[2]?
La geometria può svolgere questa
funziona perché, al pari della filosofia, riesce ad entrare nelle cose astraendo le forme perfette che sono
alla base delle realtà di cui noi abbiamo esperienza: ma se si può indagare la
realtà, vuol dire che essa (come visto nell’articolo precedente) non solo è
osservabile, non solo è capibile ma soprattutto non è qualcosa né di divino né
di mitico. Non è un caso che i primi filosofi siano stati anche matematici:
spicca tra questi, ovviamente, Talete[3],
celebre sia per il teorema che porta il suo nome[4]
ma anche per essere universalmente riconosciuto come il primo filosofo[5].
La geometria possiamo vederla quindi
come un’applicazione pratica della filosofia, purché essa sia sempre alla
ricerca di qualcosa celato nella profondità delle cose: il processo di
astrazione è esattamente lo stesso che abbiamo descritto nell’articolo precedente
sebbene noi pensiamo che sia differente[6].
E’ per noi particolarmente difficile
apprezzare i postulati[7]
che ci offre la geometria euclidea[8]
e riconoscerne la portata innovativa e di rottura rispetto alla cultura
precedente: quante volte riflettiamo sul fatto che essi ci offrono la rappresentazione della realtà per quel che
è, ma che tuttavia non si vede? Siamo abituati infatti a pensare a quei
postulati come delle semplici nozioni scolastiche da mandare a memoria, ma così
facendo non comprendiamo appieno la loro necessità
per la vita di tutti i giorni[9]:
scrolliamoci il torpore dell’istruzione mnemonica che, ahimè, è quella che va
per la maggiore nelle scuole e passiamo invece ad una valutazione delle cose
derivante dall’educazione[10]!
Seguendo questi grandi uomini, quindi,
cerchiamo anche noi di leggere la realtà per quel che è ma con gli occhi di un
bambino che si affaccia alla finestra per la prima volta: riusciremmo noi a
meravigliarci di ciò che vediamo (pensiamo solo a come sarebbe lungo l’elenco
che potremmo fare: il cielo, le stelle, gli alberi, le case, le persone, etc
etc) ed a porci le domande fondamentali chi
sono io e cosa sono le cose che vedo, da dove veniamo, dove andiamo, come siamo,
perché siamo? Questa è infatti l’immagine
perfetta per capire cosa sono stati i primi filosofi ed i primi matematici dell’antichità:
persone che si sono interrogate su che cosa fosse la realtà, sfidando la
cultura opprimente dell’epoca alla ricerca continua della vera natura delle
cose e senza mai stancarsi di cercare.
Con gli occhi di chi si sveglia da un
lungo sonno, o di un cieco che improvvisamente riacquista la vista, proviamo a
rileggere i nostri manuali scolastici, e proviamo anche a rivedere gli appunti presi
a lezione: di sicuro, dopo un po’ di tempo, riusciremo ad esclamare pieni di
meraviglia «Che miracolo, stamattina»[11]!
Francesco Del Giudice
[1]
Tutte le cose che esistono hanno sempre le tre dimensioni, dal foglio di carta
al grattacielo, dal globulo rosso all’albero. Se non si hanno le tre
dimensioni, in pratica, non si ha nessuna cosa: la più piccola altezza, anche
se espressa in micrometri, è pur sempre la misurazione della terza dimensione.
[2]
E’ doveroso precisare che la geometria si occupa ovviamente anche dei solidi,
ma quando sono disegnati essi sono in un certo senso sempre nelle 2 dimensioni:
il volume è dato infatti da un gioco di prospettiva che costituisce una vera e
propria illusione ottica (sul foglio, cioè, l’oggetto apparirà sempre piatto). Questo
discorso va calato infatti in senso astratto e va contestualizzato nello studio
della radice profonda della geometria.
[3]
Talete nacque probabilmente nel 624/623 a. C. e morì tra il 548 ed il 545 a.C. Secondo la
tradizione fu il più antico filosofo, fondatore della Scuola di Mileto, di cui
avrebbero poi fatto parte anche Anassimandro e Anassimene. Di Talete sappiamo
con certezza poco o nulla, se non quanto trasmessoci dalla tradizione che, ad
esempio, lo indica tra i 7 Saggi dell’Antichità. Talete fonda la sua filosofia
nella ricerca dell’arché, il principio, che egli identifica nell’acqua. Gli
vengono attribuiti molti teoremi di geometria, successivamente raccolti e
dimostrati da Euclide.
[4]
La proposizione del Teorema di
Talete è la seguente: un fascio di rette
parallele intersecanti due trasversali determina su di esse classi di
segmenti direttamente proporzionali.
[5]
Cfr. Aristotele, Metafisica, 983b 20-21.
[6]
Raffaello, nella sua celebre Scuola di Atene, raffigura invece anche Euclide ed
altri astronomi e matematici.
[7]
Si tratta di proposizioni che, benché non dimostrabili, sono a fondamento di
una dimostrazione o di una teoria.
[8]
Euclide fu un matematico che
operò ad Alessandria tra il IV ed il III sec. a.C, noto soprattutto per una sua opera, gli Elementi, che si
può considerare la raccolta dei fondamenti, presentati in struttura
assiomatica, della matematica greca.
[9]
Come potremmo, ad esempio, comprare una bottiglia di acqua se non sapessi come
calcolare il litro? Oppure, come potrei calcolare la taglia per un vestito
senza avere la nozione del centimetro?
[10]
Il termine non è scelto a caso in quanto, etimologicamente parlando, significa trarre
fuori, tirar fuori: in termini filosofici, astrarre. Il Servo di Dio Luigi
Giussani, fondatore della Fraternità di Comunione e Liberazione, ha insistito
senza sosta sul concetto di educazione da contrapporre alla formazione ed all’istruzione.
Uno dei suoi principali testi si intitola non per nulla Il rischio educativo.
Semplificando, per Giussani l’educazione è il metodo per giudicare tutte le
cose. Senza giudizio non c’è vera educazione ma semplicemente nozioni da
apprendere.
[11]
E’ il titolo di una bella canzone di Salvatore Palomba e Sergio Bruni,
recentemente inserita da Gianni Aversano nel suo ultimo disco Miserere 'e me. I
primi versi della canzona sono emblematici per capire il senso di meraviglia
che la canzone vuole trasmettere nel contemplare le cose che ci circondano:
«Che miracolo stamattina / io, con lo sguardo stupito, / vedo il mondo come per
la prima volta, / come fossi un bambino, /che miracolo stamattina».
L’interpretazione di Aversano è ascoltabile a questo link https://www.youtube.com/watch?v=J6WzUvgmHL8
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