lunedì 5 dicembre 2016

Filosofia e geometria: due facce della stessa medaglia

Nell’articolo del 28 Novembre abbiamo affermato che la nascita della filosofia fin da subito ha riguardato anche quelle che noi chiamiamo scienze matematiche, a cominciare dalla geometria che possiamo definire come la rappresentazione ideale della natura delle cose. Ma cosa intendiamo con questa frase?

Siamo abituati a fare una rigida distinzione (se non una vera e propria divisione) tra le scienze, frutto in particolare della visione positivista del XIX, che ci porta a ritenere le discipline completamente autonome una dall’altra. Similmente si ritiene che una specifica formazione si contrapponga ad un’altra, così chi studia economia non studierà filosofia (dimenticando che le teorie economiche fondamentali sono nate in ambito filosofico, basti pensare a Marx) e chi frequenta corsi di medicina non studia storia dell’arte (utile invece per creare ambienti belli in cui il paziente può sentirsi accolto e godere di un minimo di pace).

Per secoli e secoli, infatti, questa distinzione/divisione così rigida non esisteva ed era abituale, ad esempio, vedere dei seminaristi studiare accanto alla teologia anche l’astronomia, oppure degli architetti che erano anche storici (riuscendo a far bene entrambe le cose), e così via. Spesso questo approccio a differenti discipline e materie è definito nei libri di scuola con un generico sapere enciclopedico ma è chiaro che è troppo riduttivo e non guarda alla vera natura del sapere: tutte le discipline sono infatti concatenate una all’altra (quali più, quali meno) e possono essere addirittura complementari una all’altra in quanto tutte sono frutto della medesima natura umana la quale è e sempre sarà la medesima. Ovviamente è difficile ammettere una cosa del genere, ed ancor più arduo viverla ed applicarla, in quanto le passioni e gli interessi personali saranno sempre presenti nel singolo studioso e differiranno sempre da quelli degli altri. Allo stesso modo, bisogna riconoscere che esiste una gradualità ed una gerarchia delle discipline e delle scienze: questo tipo di classificazione non pone sullo stesso piano ogni medesima disciplina ma da un valore a ciascuna di esse senza tuttavia compiere discriminazioni in quanto in atto, cioè nell’applicazione, se correttamente messa in opera dalla singola persona, ogni disciplina è Regina rispetto ad un’altra. Facciamo un piccolo esempio: nell’ambito delle costruzioni, quale disciplina è più importante: la muratura o l’ingegneria edile? Entrambe, in quanto per poter costruire un fabbricato (applicazione della disciplina) serve sia la perizia del muratore che quella dell’ingegnere. Ma esse non sono uguali in quanto ovviamente presuppongono conoscenze infinitamente diverse.

Gerarchicamente parlando, infatti, seguendo la visione classica (oggigiorno, come accennato sopra, praticamente abbandonata) più la materia è universale più essa sarà gerarchicamente importante rispetto alle altre. Più essa sarà particolare, più essa sarà gerarchicamente meno importante rispetto alle altre. E, si capisce benissimo, non esiste materia più universale della filosofia in quanto, come abbiamo visto nel I articolo di questa rubrica, essa riesce a rispondere alle domande più profonde dell’uomo con un linguaggio universale.

Ma cosa c’entra tutto questo discorso con il titolo di questo articolo (la geometria è l’altra faccia della medaglia della filosofia)? Perché secondo noi la materia (tra quelle che oggi noi chiameremo scientifiche) che maggiormente si avvicina alla filosofia è la geometria in quanto essa, come la filosofia, riesce ad entrare nella natura profonda delle cose contribuendo alla demitizzazione del reale. Cos’è infatti la geometria se non la rappresentazione perfetta delle cose? Per far questo la geometra entra nella cosa e la studia nel profondo riportandola poi alla forma originaria che essa esprime a livello imperfetto. La geometria inoltre rappresenta ogni cosa nei caratteri comuni delle cose ma sempre in chiave astratta, vale a dire tramite le due dimensioni, tralasciando ciò che invece di cui noi abbiamo esperienza tutti i giorni: la solidità delle cose. Riflettiamo un momento: esiste il cerchio? O esistono cose che hanno una forma circolare? Similmente, esistono cose che non hanno volume? No, ovviamente[1]. Perché allora la geometria non li rappresenta nelle 3 dimensioni (facendo cioè dei modellini in scala) bensì nelle 2 dimensioni[2]?

La geometria può svolgere questa funziona perché, al pari della filosofia, riesce ad entrare nelle cose astraendo le forme perfette che sono alla base delle realtà di cui noi abbiamo esperienza: ma se si può indagare la realtà, vuol dire che essa (come visto nell’articolo precedente) non solo è osservabile, non solo è capibile ma soprattutto non è qualcosa né di divino né di mitico. Non è un caso che i primi filosofi siano stati anche matematici: spicca tra questi, ovviamente, Talete[3], celebre sia per il teorema che porta il suo nome[4] ma anche per essere universalmente riconosciuto come il primo filosofo[5].

La geometria possiamo vederla quindi come un’applicazione pratica della filosofia, purché essa sia sempre alla ricerca di qualcosa celato nella profondità delle cose: il processo di astrazione è esattamente lo stesso che abbiamo descritto nell’articolo precedente sebbene noi pensiamo che sia differente[6].

E’ per noi particolarmente difficile apprezzare i postulati[7] che ci offre la geometria euclidea[8] e riconoscerne la portata innovativa e di rottura rispetto alla cultura precedente: quante volte riflettiamo sul fatto che essi ci offrono la rappresentazione della realtà per quel che è, ma che tuttavia non si vede? Siamo abituati infatti a pensare a quei postulati come delle semplici nozioni scolastiche da mandare a memoria, ma così facendo non comprendiamo appieno la loro necessità per la vita di tutti i giorni[9]: scrolliamoci il torpore dell’istruzione mnemonica che, ahimè, è quella che va per la maggiore nelle scuole e passiamo invece ad una valutazione delle cose derivante dall’educazione[10]!

Seguendo questi grandi uomini, quindi, cerchiamo anche noi di leggere la realtà per quel che è ma con gli occhi di un bambino che si affaccia alla finestra per la prima volta: riusciremmo noi a meravigliarci di ciò che vediamo (pensiamo solo a come sarebbe lungo l’elenco che potremmo fare: il cielo, le stelle, gli alberi, le case, le persone, etc etc) ed a porci le domande fondamentali chi sono io e cosa sono le cose che vedo, da dove veniamo, dove andiamo, come siamo, perché siamo? Questa è infatti l’immagine perfetta per capire cosa sono stati i primi filosofi ed i primi matematici dell’antichità: persone che si sono interrogate su che cosa fosse la realtà, sfidando la cultura opprimente dell’epoca alla ricerca continua della vera natura delle cose e senza mai stancarsi di cercare.

Con gli occhi di chi si sveglia da un lungo sonno, o di un cieco che improvvisamente riacquista la vista, proviamo a rileggere i nostri manuali scolastici, e proviamo anche a rivedere gli appunti presi a lezione: di sicuro, dopo un po’ di tempo, riusciremo ad esclamare pieni di meraviglia «Che miracolo, stamattina»[11]!

Francesco Del Giudice



[1] Tutte le cose che esistono hanno sempre le tre dimensioni, dal foglio di carta al grattacielo, dal globulo rosso all’albero. Se non si hanno le tre dimensioni, in pratica, non si ha nessuna cosa: la più piccola altezza, anche se espressa in micrometri, è pur sempre la misurazione della terza dimensione.

[2] E’ doveroso precisare che la geometria si occupa ovviamente anche dei solidi, ma quando sono disegnati essi sono in un certo senso sempre nelle 2 dimensioni: il volume è dato infatti da un gioco di prospettiva che costituisce una vera e propria illusione ottica (sul foglio, cioè, l’oggetto apparirà sempre piatto). Questo discorso va calato infatti in senso astratto e va contestualizzato nello studio della radice profonda della geometria.

[3] Talete nacque probabilmente nel 624/623 a. C. e morì tra il 548 ed il 545 a.C. Secondo la tradizione fu il più antico filosofo, fondatore della Scuola di Mileto, di cui avrebbero poi fatto parte anche Anassimandro e Anassimene. Di Talete sappiamo con certezza poco o nulla, se non quanto trasmessoci dalla tradizione che, ad esempio, lo indica tra i 7 Saggi dell’Antichità. Talete fonda la sua filosofia nella ricerca dell’arché, il principio, che egli identifica nell’acqua. Gli vengono attribuiti molti teoremi di geometria, successivamente raccolti e dimostrati da Euclide.

[4] La proposizione del Teorema di Talete è la seguente: un fascio di rette parallele intersecanti due trasversali determina su di esse classi di segmenti direttamente proporzionali.

[5] Cfr. Aristotele, Metafisica, 983b 20-21.

[6] Raffaello, nella sua celebre Scuola di Atene, raffigura invece anche Euclide ed altri astronomi e matematici.

[7] Si tratta di proposizioni che, benché non dimostrabili, sono a fondamento di una dimostrazione o di una teoria.

[8] Euclide fu un matematico che operò ad Alessandria tra il IV ed il III sec. a.C, noto soprattutto per una sua opera, gli Elementi, che si può considerare la raccolta dei fondamenti, presentati in struttura assiomatica, della matematica greca.

[9] Come potremmo, ad esempio, comprare una bottiglia di acqua se non sapessi come calcolare il litro? Oppure, come potrei calcolare la taglia per un vestito senza avere la nozione del centimetro?

[10] Il termine non è scelto a caso in quanto, etimologicamente parlando, significa trarre fuori, tirar fuori: in termini filosofici, astrarre. Il Servo di Dio Luigi Giussani, fondatore della Fraternità di Comunione e Liberazione, ha insistito senza sosta sul concetto di educazione da contrapporre alla formazione ed all’istruzione. Uno dei suoi principali testi si intitola non per nulla Il rischio educativo. Semplificando, per Giussani l’educazione è il metodo per giudicare tutte le cose. Senza giudizio non c’è vera educazione ma semplicemente nozioni da apprendere.


[11] E’ il titolo di una bella canzone di Salvatore Palomba e Sergio Bruni, recentemente inserita da Gianni Aversano nel suo ultimo disco Miserere 'e me. I primi versi della canzona sono emblematici per capire il senso di meraviglia che la canzone vuole trasmettere nel contemplare le cose che ci circondano: «Che miracolo stamattina / io, con lo sguardo stupito, / vedo il mondo come per la prima volta, / come fossi un bambino, /che miracolo stamattina». L’interpretazione di Aversano è ascoltabile a questo link https://www.youtube.com/watch?v=J6WzUvgmHL8

Nessun commento:

Posta un commento