lunedì 19 dicembre 2016

Filosofare, ovvero: elogio della ragione

di Francesco Del Giudice

 
Negli scorsi articoli di questa rubrica Quid est veritas abbiamo cercato di analizzare e spiegare l’atteggiamento ed il comportamento dei primi filosofi nei confronti della realtà: questa breve analisi ci ha fatto scoprire termini quali astrazione, meraviglia, metafisica, principio di non contraddizione ma, soprattutto, il fatto che la ricerca filosofica possa avvenire solo e solamente per mezzo del corretto uso della ragione. Questa infatti è la principale novità che la (corretta) filosofia ci offre ancora oggi: ci pensiamo mai? E se lo facciamo, riflettiamo attentamente su ciò che significa?

Pensiamo solamente alle espressioni di uso frequente che sentiamo ed utilizziamo tutti i giorni: uomini di ragione, secondo ragione, le ragioni di quella scelta, la ragione ultima di quella cosa, etc: riflettiamo mai abbastanza sul fatto che usiamo una terminologia profondamente filosofica che travalica cioè l’immediatezza dei nostri sensi e ci proietta invece in un mondo (come abbiamo ben visto negli articoli precedenti) di una profondità abissale se paragonato al nostro vivere quotidiano?

La ragione è qualcosa di profondamente diverso da tutte le categorie usate prima della nascita della filosofia: il termine infatti, come riporta correttamente il Vocabolario Treccani[1], deriva dalla traduzione latina (ratio) del vocabolo lògos che nella lingua greca indica un qualcosa di profondamente ordinato. Dobbiamo capire bene cosa stiamo dicendo perché questi termini sono fondamentali per poter comprendere appieno il linguaggio filosofico. Com’è noto, infatti, il greco antico presenta una varietà smisurata di sinonimi e di sfumature per ogni sua singola parola (cosa invece quasi del tutto sconosciuta al latino) per cui è difficile da comprendere appieno il significato profondo di una parola. Lògos, da questo punto di vista, ad esempio, ha un duplice significato: significa sia discorso ma significa anche ragione, intendendo questo secondo termine come la facoltà di pensare mettendo in giusta relazione le cose tra di loro. La profondità del termine, tuttavia, non è ancora bene chiara in quanto lògos, oltre ad indicare ordine, è usato anche come sapienza e fondamento: da questo punto di vista, potremmo anche tradurre lògos con cardine, vale a dire un qualcosa di fondamentale per il giusto ordine di un determinato oggetto. Questo concetto in grammatica è espresso con il vocabolo verbo[2].

E’ chiaro pertanto che ragione è un vero e proprio termine polisemantico ma che riguarda sempre le categorie di giustezza, accuratezza e precisione: ecco perché anche nel linguaggio comune utilizziamo ancora oggi le espressioni che abbiamo citato sopra che rimandano ad un’ideale di perfezione o di correttezza. E’ altrettanto chiaro, pertanto, che un sistema filosofico degno di questo nome debba essere rispettoso e ossequiente al corretto uso della ragione altrimenti avremmo un sistema filosofico (che intende pertanto spiegare la realtà per quel che è) non ordinato e quindi senza verità.

Anche in questo caso conviene riflettere bene su quello che stiamo dicendo perché oggigiorno siamo abituati invece a sentire l’elogio di filosofie senza verità (il cosiddetto nichilismo), oppure di filosofie irrazionalistiche, ma anche di filosofie relativistiche (vale a dire portatrici di molteplici verità che si annientano tra di loro): tutte queste filosofie, apparentemente, hanno un loro ordine ma partono sempre e solo da un punto di vista errato, vale a dire il fatto che l’uomo non è capace di trovare la verità nelle cose. In pratica, questi sistemi filosofici sono contraddittori nella loro stessa natura: vogliono insegnare qualcosa che poi o non esiste o è inutile conoscere: ma che senso ha perseguire un ideale pur sapendo che è inservibile o superfluo? Facciamo un esempio pratico: tutti sappiamo che l’arsenico, se assunto in dosi eccessive, è dannoso per il nostro organismo (è, cioè, un veleno). Ci troviamo dinanzi ad una verità che tutti noi accettiamo senza neanche pensarci più di tanto. Ma poniamo il caso che domani un solo scienziato sentenziasse che l’arsenico invece fa bene all’organismo, e che la definizione di veleno è soggetta a dispute lessicali che dipendono dal periodo storico in cui vengono definite: assumereste senza farvi nemmeno una domanda una dose massiccia di quel veleno andando contro ciò che la vostra coscienza vi dice? Con le filosofie contemporanee avviene, mutatis mutandis, esattamente la stessa cosa: il mondo contemporaneo infatti ha scelto di non seguire né perseguire la ricerca della verità (che, come abbiamo visto, è la radice ultima della filosofia) accontentandosi invece di dichiarare che se esiste, la verità è debole oppure multipla. Questa è infatti il fondamento della cultura nella quale, volenti o nolenti, tutti quanti siamo immersi: non per nulla la nostra epoca è stata definita come post modernità, volendo significare che non solo non si ricerca più la verità forte ancorata in Dio (filosofia dell’età medievale) ma neanche più una verità forte radicata nell’uomo (filosofie razionaliste o atee, il cui esempio massimo è stato il marxismo).

La post-modernità rifiuta categoricamente ogni tipo di verità cosicché dovrebbe essere ancora più chiaro il titolo della nostra rubrica ed il nostro primo articolo: con tutti noi stessi, cioè, cerchiamo di applicare correttamente la ragione, elogiandola ed esaltandola all’interno dei limiti che la realtà gli impone, alla ricerca della verità profonda delle cose per poter rispondere alle domande profonde dell’uomo.

Ma se cerchiamo la verità secondo ragione, sappiamo che essa sarà ordinata, logica, puntuale e soprattutto stabile e unica (le massime verità negate oggigiorno). Il problema del Lògos è antico quanto tutta la filosofia: non è forse Parmenide tra i primi a parlarci di due (apparenti) verità che si contrappongo tra di loro (la Doxa e il Lògos)? E Parmenide non afferma già (con tutti i limiti che la formulazione parmenidea ha avuto e continua a proporre ancora oggigiorno) che il corretto uso della ragione condurrà il filosofo alla scoperta dell’unica verità? E che l’uomo è fatto per la verità lo abbiamo già visto negli articoli precedenti. Parlando oggi di ragione, tuttavia, è doveroso riportare la definizione che Severino Boezio ha dato per definire la persona come «rationalis naturae individua sub stantia», vale a dire «una sostanza individuale di natura razionale»[3]: l’uomo cioè è portato per la sua stessa natura a ricercare la verità, e sempre in maniera razionale poiché applica in questo la sua stessa natura profonda[4].

Più assoluti, nessun assoluto: come abbiamo visto negli articoli precedenti, tertium non datur. E questo lo capisce chiunque, senza grossi sforzi: il difficile tuttavia è sopravvivere alle dilaganti filosofie post-moderne che invece da diversi decenni ci dicono il contrario.

Nelle prossime puntate di questa Rubrica vedremo più nel dettaglio alcuni di questi sistemi filosofici, ma prima è ancora necessario entrare maggiormente in possesso del corretto lessico filosofico. Dal momento che l’anno sta per finire, infatti, vi diamo appuntamento alle prossime puntate in cui tratteremo (pur nella brevità propria della rubrica di un blog) di uno dei temi che più hanno appassionato gli spiriti filosofici più importanti di tutta la storia: che cos’è il tempo?


[1] http://www.treccani.it/vocabolario/ragione/
[2] Così ad esempio lo troviamo nel Prologo del Vangelo di Giovanni.
[3] De duabus naturis 3, Patrol. Lat. LXIV 1345.
[4] Le implicazioni della definizione di Boezio sono ovviamente molto più vaste di questa semplice nostra piccolissima annotazione.

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