La Battaglia di Hacksaw Ridge
di Francesco Del Giudice e Anna Fagiolo
Il
2017, dal un punto di vista cinematografico, si apre con una piacevole notizia
che è anche una certezza: Mel Gibson colpisce ancora, e ancora una volta fa
centro. L’attore/regista di Braveheart, The Passion ed Apocalypto
è tornato infatti sugli schermi con un nuovo film: La Battaglia di Hacksaw Ridge che narra l’esperienza sotto le armi
(nella Battaglia di Hokinawa, nel Giappone del 1945) di Desmond Ross (Andrew
Garfiled), un obiettore di coscienza onorato della più alta onorificenza
militare statunitense. Si tratta senza alcun dubbio di un film che vale per
intero il prezzo del biglietto (come anche quello dei pop-corn) in cui ogni
singolo fotogramma è intriso di grandi tematiche (fede, patria, guerra,
famiglia, tra le altre) e che permette al cervello, sia durante la visione del
film che in seguito, di accendersi e di lavorare: sia che si torni a casa in
silenzio, sia che si lasci il cinema discutendo con i propri amici, le domande
che Mel Gibson ha voluto lanciare a tutto il mondo vengono prepotentemente a
galla.
Abbiamo
visto il film in un pomeriggio della settimana scorsa, in una sala semi-vuota
(ma era pur sempre lo spettacolo delle 15:00) e tornando a casa abbiamo animato
il vagone del treno sul quale ci trovavamo discutendo apertamente, e sotto
certi versi anche animatamente, delle numerose tematiche del film ed abbiamo
deciso di farvene partecipi. Su diversi punti le nostre visioni coincidono, su
altre un po’ meno ma il semplice fatto che ne è scaturita una discussione vuol
dire che le domande che ci siamo posti non sono poi così peregrine: se una cosa
è evidente, infatti, è logico parlarne ma se si parla di un qualcosa che non
c’è vuol dire fantasticare.
Il
film in se stesso è molto semplice, e la trama rispecchia i primi 20/25 anni
della vita di Desmon Ross che abbiamo tratteggiato poco sopra. La struttura
della trama riprende inoltre elementi che si ritrovano anche in altri film
dello stesso genere: un inizio per così dire pacifico (sebbene le primissime scene riportino parti della
battaglia che troveremo in una parte sostanziosa di tutta la pellicola),
l’arruolamento volontario nell’esercito degli Stati Uniti del protagonista ed
il relativo addestramento, la realtà del campo di battaglia. In chiusura c’è
anche una brevissima parte documentale, con alcune video interviste realizzate
ad alcuni dei protagonisti, cosa che rende il prodotto anche interessante
perché permette di uscire dalla logica della finzione ed addentrarsi sempre più
nei dedali della coscienza personale di ciascuno dei protagonisti. I dialoghi
non sono mai banali, con una punta di spirito qua e là per distendere la
tensione (memorabile la discussione tra Desmond ed un suo commilitone, suo
acerrimo nemico durante l’addestramento, nella prima notte che segue la
battaglia dove i due sono stati buttati in mezzo dai loro superiori). Come ci
ha abituato a fare nei suoi ultimi lavori, Mel Gibson cura in maniera
dettagliata la fotografia, che restituisce un’immagine accurata di ferite e di
esplosioni, come anche le condizioni di vita di quello che si può incontrare in
guerra: non manca il punto di vista di ogni soldato, rappresentato ora dalla
camera sfocata (riproducente lo sguardo spento e spossato di Desmond dopo le
fatiche della notte alla ricerca dei feriti) ora dal fucile da guerra da cui
saltano fuori decine di bossoli. Non manca l’elemento romantico, vale a dire la
storia d’amore tra Desmond e sua moglie Dorothy, raccontata con emozione e
semplicità senza né fronzoli di sentimentalismo né, tantomeno, mostrare una
benché minima immagine di sesso esplicito: in una settimana in cui un film
inneggiante all’amore sadomasochista, scevro di qualsiasi affetto e basato
unicamente sulla dominante sessuale e psicologica, sta sbancando ai botteghini
è bene invece sottolineare come si possa parlare, ed anche mostrare, un amore
ed anche un rapporto, come può essere quello tra un marito e sua moglie, senza
tuttavia mostrare nudità o rapporti sessuali consumati.
Tornando
alle scene che rimarranno impresse agli occhi dello spettatore, sicuramente non
si può tacere il contrasto tra la dimensione e l’ambiente familiare (in
particolare dell’infanzia) del protagonista e quella bellica, in tutta la sua
brutale e nuda verità, che viene trasmessa a livello visivo da splendide inquadrature
del paesaggio in cui avvengono le singole vicende: casa Ross è circondata da
erba verde, un bosco, montagne ed anche un fiumiciattolo; sul campo di
battaglia, lontano centinaia di miglia da casa, invece, la macchina da presa si
focalizza sulla rupe sassosa ed irta che conduce ad una spianata dominata solo
da alberi secchi, e dalla presenza dei tanti morti sul terreno duro brulicante
di topi che si cibano delle carcasse dei soldati caduti. Ma attenzione: essendo
il film un ritratto vero delle vicende di Desmond (e non una finzione idilliaca
ed idealizzante, in stile Famiglia del
Mulino Bianco) il paesaggio non deve fuorviare il giudizio dello
spettatore: a casa Ross non sono tutte rose e fiori e, contemporaneamente, è
proprio sul terribile campo di battaglia (in cui il colore dominante è il
grigio del fumo dei colpi sparati ed il rosso delle carni straziate) che il
protagonista mette davvero alla prova se stesso e riesce soprattutto a far del
bene. Da questo punto di vista, è emblematico uno scambio di battute tra i
soldati della compagnia di Desmond che arriva a pochi metri dal Hacksaw Ridge
ed il medico della compagnia che invece l’ha appena abbandonata («Com’è li sopra? Ehi! Ho detto com’è li
sopra?», «L’inferno: i musi gialli
non temono la morte, anzi: la cercano»): probabilmente è questo il punto di
cesura tra la prima e la seconda parte del film, tra la vita dura ma pur sempre
lontana dalla prima linea della caserma e il campo di battaglia, tra la luce e
l’ombra, tra la preparazione e il mettere in pratica, tra le scelte da compiere
ed il metterle in pratica all’istante.
Il
film di Mel Gibson parla di coerenza, e probabilmente lo fa sia da un punto di
vista “americano” che “giapponese” (mostrando ad esempio anche l’indomito
coraggio ed il sacrificio epico dei nemici i quali si buttano all’assalto,
quasi alla baionetta, spinti dall’ideale di servire la Patria) partendo
tuttavia da un punto di vista ben chiaro e apparentemente contraddittorio:
Desmond Ross è un soldato che arruolatosi volontariamente (perché l’esercito
degli Stati Uniti non è un esercito formato da coscritti di leva come lo
intendiamo noi europei) sceglie di vestire un’uniforme militare ma di non
toccare assolutamente un’arma, perché «morde»
(e ricorda a Desmond di aver desiderato di uccidere con una rivoltella suo
padre ubriaco cercando di salvare sua madre dalle percosse,) volendo andare
testardamente in prima linea senza possibilità di difendersi ma, anzi, cercando
di salvare, in quanto operatore sanitario, le vite dei propri commilitoni. Si
tratta di una coerenza di pensiero (e che, quindi, si traduce anche in coerenza
di azione secondo l’adagio agere sequitur
esse) che probabilmente solo Mel Gibson poteva mettere in scena in maniera
così nuda e perfetta: se infatti volete una riflessione patinata o stereotipa
del fare il proprio dovere e di ricordare gli esempi di storia patria, questo
film non fa per voi. La vita di Desmond (ma, ripetiamo, probabilmente di tutti,
o quasi tutti, i protagonisti del film) si traduce in eventi che lo spingono ad
andare oltre il minimo indispensabile a tenere a bada la propria coscienza.
Desmond,
benché venga bollato come vigliacco ed un antiamericano solo perché obiettore
di coscienza, riesce con una tenacia che ha
dell’incredibile, radicata solamente nella sua fede di Cristiano Avventista del
Settimo Giorno, a mantenere la sua posizione: Desmond non nasconde la
sua identità ma l’afferma o la sottolinea quando è necessario farlo, senza
quindi vanagloria o fanatismi («Ti credi
meglio degli altri?» «No, per nulla!»
- «Figliolo, tutti qui crediamo in quel
libro, ma nessuno si comporta come te: perché fai così?» «Perché sono un Cristiano Avventista del
Settimo Giorno ed il sabato è il mio shabbat, Signore»). La cifra di tutto
il film, di tutta la vita di Desmon Ross, è infatti questo principio: si deve
fare ciò che si è chiamati a fare (e che, dunque, si deve fare). Secondo il
linguaggio della dottrina morale della Chiesa Cattolica questo corrisponde al proprio dovere di stato: ogni persona,
cioè, deve agire facendo quello che deve fare e solo facendolo la sua vita si
riempie di senso e diventa pienamente vissuta. Mel Gibson da questo punto di
vista, a nostro parere, mutatis mutandis,
è paragonabile a Santa Caterina da Siena la quale rivolgendosi sia ai vari
principi del suo tempo sia ai suoi discepoli, esortava tutti con l’invito «se sarete quello che dovete essere,
metterete a fuoco l’Italia»: Mel Gibson infatti porta sullo schermo non
solo una delle battaglie più cruente del fronte del Pacifico della II Guerra
Mondiale, non porta unicamente una riflessione sulla pace e sulla guerra (tra
l’altro, se questa interpretazione fosse corretta, Desmond sarebbe in palese
contraddizione con se stesso in quanto non critica mai né i Giapponesi né
tantomeno i suoi commilitoni che sparano ed uccidono il nemico che gli si pone
dinanzi: anzi, per poter salvare diversi compagni, non esita ad esporsi per far
uscire allo scoperto cecchini e soldati nemici nascosti che verranno a loro
volta presi di mira ed uccisi dagli americani), e altresì non racconta nemmeno
unicamente la singolare vicenda di un obiettore di coscienza in prima linea.
Mel Gibson ci parla di altro, ovvero di come una persona deve compromettere
tutto se stesso quando sa e sente di dover compiere una determinata azione
anche in palese contraddizione con il pensiero dominante. La frase radicale
(intendendola anche in senso etimologico, che è dunque alla radice delle cose) non è tanto la preghiera di Desmond sul
campo di battaglia «Ti prego Signore,
fammene trovare un altro» bensì il grido di (quasi) disperazione che il
protagonista rivolge a Dio all’interno della cella in cui è stato confinato dai
suoi superiori che non accettano la sua obiezione di coscienza: «Cosa vuoi da me?». E questa frase,
sebbene non pronunciata, è facilmente individuabile negli occhi attoniti di
Desmond il giorno in cui, con non poche fatiche, scala per la prima volta
Hacksaw Ridge e vede dinanzi a se lo sfacelo procurato da giorni di
bombardamento e dall’avanzata delle due parti in lotta tra di loro: stesso
sguardo che ritroviamo al momento della ritirata statunitense quando Desmond si
rifiuta di calarsi dalla rupe e rimane, inerme, sulla spianata del campo di
battaglia avviandosi verso le fiamme dei bunker e delle trincee in fiamme (spettacolare
la visione del muro di fuoco, un vero e proprio inferno, in cui il
protagonista, novello Dante, entra per poter salvare i propri compagni).
Desmond
crede realmente in quello che fa e lo fa
perché crede quasi volesse mostrare che la
fede senza le opere è vana.
Ma dobbiamo stare attenti ad alcuni possibili errori frutto dell’emotività che
suscita il film e la sua figura: Desmond, e quindi Mel Gibson, lo ripetiamo,
non fa un elogio dell’obiezione di coscienza in contrapposizione a chi sceglie
di abbracciare le armi per difendere il proprio Paese ed i valori nazionali;
non vi nascondiamo che la prima persona che ci è venuta in mente guardando il
film, non è stato né Gandhi né altri maestri della non-violenza: a nostro
avviso il miglior paragone che si possa fare è quello, anche qui mutatis mutandis, con Santa Giovanna d’Arco
vale a dire di una giovincella che, contrariamente a tutti gli standard della
sua epoca, spinta da voci interiori, si rivolse al futuro Re di Francia ad
accettare la Corona del Regno (invitando quindi a fare ciò che doveva fare) e prese le armi andando anche in
battaglia contro gli invasori inglesi: né Giovanna né la Chiesa Cattolica hanno
mai fatto un elogio della carriera militare femminile ma, contemporaneamente, è
innegabile che ha compiuto la volontà di Dio ricoprendo incarichi riservati
generalmente agli uomini e imbracciando le armi.
Desmond
non è un santo modernamente inteso, vale a dire – ci sia permessa la
semplificazione – perfetto e tutto miele
e zucchero: egli è un uomo di carne e ossa, con tutti i suoi pregi e tutti
i suoi difetti, Desmond, in quanto uomo, ha le sue passioni, i suoi momenti
bui, le sue gioie ed i suoi amori ma che, pur tentano continuamente di
abbandonare tutto e tutti (la tentazione a lasciar perdere tutto è sempre
dietro l’angolo, cosa che Mel Gibson sa bene: in The Passion non è forse lui ad inserire tra le persone che seguono
Gesù nella Via Crucis, probabilmente per la prima volta in tutta la storia del
cristianesimo, il Diavolo che tenta Cristo non volendo che si compia il
sacrificio della croce?) riesce sempre a reagire (oppositum per contrarium afferma sempre la morale cattolica) con
uno slancio eroico
degno di questo nome impegnandosi sempre a compiere il bene che corrisponde – e
sarà sempre bene ricordarlo fino alla nausea – nell’esercizio di ciò che si
deve fare in un determinato momento.
A
proposito della rappresentazione a tutto tondo della persona del protagonista,
è interessante il rapporto che Desmond ha con Thomas, suo padre (Hugo Weaving),
rimasto traumatizzato dalla perdita degli amici commilitoni sul Fronte Occidentale
della Grande Guerra (da cui è tornato con due medaglie al merito): alcolista
violento, prende le distanze dai figli al momento dell’arruolamento si
arruolano per poi far leva sulle sue conoscenze per aiutare il figlio minore
cui si voleva negare la sua peculiarità di obiettore di coscienza sotto le
armi. Desmond sa benissimo che ha un padre tremendo, e lo confesserà anche
nella prima notte di guerra al suo compagno
di fossa, ma ugualmente lo ama, soprattutto per avergli trasmesso quel
sentimento di amor patrio che lo muove all’arruolamento ed alla guerra. E
proprio questo amore/odio per il padre che spinge il figlio a prendere la
risoluzione di non uccidere, anzi: di non toccare nemmeno un’arma. Quale
migliore occasione per comprendere, vivere e trasmettere ciò che dice San Paolo
«tutto concorre al bene di coloro che
amano Dio», rendendo visibile il fatto che Dio trae sempre un bene dal
male?
Per
concludere dobbiamo dare ancora fare alcune brevi considerazioni.
La
prima è che ci ha (felicemente) sconvolto il fatto che il film si apra con la
frase «una storia vera» e non «tratto da una storia vera» e sia assente
il benché minimo accenno a rimaneggiamenti o libertà del regista e degli
sceneggiatori: tutto ciò che Mel Gibson racconta è vero, corroborato dalle
testimonianze finali di alcuni protagonisti, ormai anziani, degli eventi (se
non ci fosse stata quella scritta sarebbe stato difficile ammettere che Desmond
abbia deviato ben due bombe a mano giapponesi, la prima con le mani e la
seconda con un calcio degno di un centrocampista per poter salvare i suoi
compagni). Ci piaccia o non ci piaccia, quello che è concentrato nel film ha
fatto realmente parte della vita di quest’uomo e dell’esercito degli USA. E’
ovvio che la Bibbia sia una specie di sottofondo di tutta la trama (gli esempi
sarebbero tantissimi ma basta ricordare il parallelismo tra la preghiera di
Desmond prima dell’assalto finale che spinge gli uomini a battersi come leoni
con la preghiera di Mosè durante le campagne di conquista della Terra Promessa
compiute da Giosué) ma, come anche dicevamo prima, se un fedele vuole vivere
intensamente la propria vita saprà leggere e trarre tutti i benefici possibili
da ciascuna pericope delle Sacre Scritture ricordando sempre che è lo Spirito
Santo, secondo quanto promesso e garantito dalle parole di Gesù, che ci
indicherà i modi ed i tempi di agire e parlare.
La
seconda riguarda un parallelismo impossibile da non compiere vedendo il film e
contestualizzandolo all’interno delle aspre polemiche, che negli USA avvengono
praticamente quotidianamente, che riguardano la libertà religiosa ed il ruolo
pubblico delle religioni nella società: lo scambio di battute, dure e taglienti
come può avvenire quando si difende la verità, tra Thomas Ross ed il giudice
della corte marziale che deve giudicare suo figlio ne è una riprova. La
conferma è data anche da una delle interviste finali in cui viene affermato che
avere o non avere una fede, e quindi
difenderla e non difenderla, non è la stessa cosa: la sottolineatura dei
valori costituzionali, delle garanzie riconosciute dai Padri Fondatori, dai
valori incarnati e rappresentati e difesi dalle uniformi militari non lasciano
dubbi al riguardo.
Si
tratta di un ottimo film per chi al cinema non va solo per passare un po’ di tempo.
Questi sono i film che prendono e che restano attaccati molto più a lungo della durata della pellicola. Secondo Francesco non è un vero kolossal benché abbia
ottenuto diverse nomination agli Oscar (Francesco avrebbe infatti gradito
maggior rispetto e riconoscimenti per The
Passion e forse ancor di più per Apocalypto).
Forse non si tratta di un vero e proprio kolossal al pari di altri lavori di
Mel Gibson ma è, e resterà tale, ciò
che l’ha definita il settimanale Tempi: «una
gibsonata». Mel Gibson c’è. E ringraziamo Dio che ce l’ha ridato.
E
parlando di Dio chiudiamo la nostra riflessione con un’ennesima, necessaria,
essenziale, ineludibile domanda cui però non vogliamo dare risposta perché
probabilmente Mel ce la lascia volutamente aperta: il protagonista vero del
film chi è? Desmond o Dio?
Anna
Fagiolo - Francesco Del Giudice