giovedì 21 agosto 2014

Omosessualità


L’identità sessuale

Per poter trattare il tema dell’omosessualità è indispensabile fare un passo indietro, cercando di definire prima di tutto cos’è l’identità di una persona. Essa costituisce la sua essenza fondamentale, ciò che realmente è un uomo: unità di materia (corpo) e forma (anima). A questo concetto si lega strettamente quello di “identità sessuale”, infatti la sessualità è un aspetto fondante dell’identità umana: siamo maschi o femmine sin dal momento del concepimento.  La sessualità, tuttavia, può essere distinta nelle sue parti, che se non sono collegate in maniera armonica possono portare a patologie, disordini o disturbi della sessualità umana. Questi aspetti sono: sesso biologico, sesso psicologico e orientamento sessuale. Per quanto riguarda il sesso biologico, esso può essere distinto in sesso genetico (determinato dai cromosomi X e Y), gonadico (responsabile dello sviluppo ormonale) e somatico (caratteri sessuali secondari). L’orientamento sessuale, invece, è la preferenza sessuale che dirige il comportamento sessuale. Il sesso psicologico, infine è composto dall’identità sessuale, che è la coscienza della propria appartenenza ad un determinato sesso e delle differenze con l’altro sesso, e dall’identità di genere, che è la consapevolezza del ruolo che gli individui del proprio sesso svolgono nella società.
A questo punto sorge spontanea una domanda: l’identità di una persona è predefinita o si forma nel tempo, seguendo gli influssi dell’ambiente in cui la persona stessa vive e cresce? Per cercare di rispondere a questa domanda si può fare riferimento al concetto aristo
telico di “natura”, che è il principio, presente in ogni cosa che guida la sua crescita e il suo sviluppo. Può essere considerata quindi una sorta di progetto, consiste in ciò che le cose sarebbero se non ci fossero interferenze negative. Dunque vige un rapporto molto complesso tra natura ed ambiente: il progetto dato dalla natura può realizzarsi pienamente solo se le condizioni ambientali lo permettono. Ma il fatto che talvolta l’ambiente impedisca il compiersi di questo progetto, non ne nega l’esistenza.
Come nelle piante e negli animali, anche nell’uomo è presente una natura, ovvero un progetto, che guida la formazione della sua identità. Questo progetto prevede, ad esempio, che il bambino maschio cresca, diventi uomo e si senta attratto dalle donne. Ma se vari fattori interferiscono durante questo processo, può avvenire che il bambino non riesca a sviluppare appieno la sua identità.
Un esempio chiarissimo di questa interferenza dell’ambiente è l’omosessualità.



L’omosessualità

Si definisce così un’attrazione stabile e prevalente nel confronti delle persone del proprio sesso. È quindi una tendenza, una preferenza, e in quanto tale non va a definire l’identità di una persona. Per questo motivo non si può parlare di omosessuali, perché questo termine sottintende un ruolo fondamentale della preferenza sessuale nel costituire l’essenza di un uomo, ma solo di persone con tendenze omosessuali. L’omosessualità, inoltre, non è determinata dal comportamento omosessuale: ci sono persone eterosessuali (quindi attratte dal sesso opposto) che però hanno rapporti omosessuali e persone con tendenza omosessuale che non hanno rapporti sessuali o li hanno con persone dell’altro sesso.
Importante è anche la distinzione tra persone omosessuali e gay. La parola “gay” infatti indica un’identità ideologico-politica, nella quale la maggior parte delle persone omosessuali non si riconosce, nonostante gli attivisti gay si siano auto-investiti del ruolo di portavoce del “mondo omosessuale”.


Omosessuali si nasce?

Un problema fondamentale è questo: l’omosessualità è naturale, come sostengono i gay? Tornando al concetto aristotelico di natura si può facilmente dare una risposta negativa: non insorgerebbe se non ci fossero interferenze ambientali nello sviluppo della persona. Nessuno, infatti, nasce omosessuale: sono stati portati avanti diversi studi scientifici che hanno escluso l’esistenza di una causa biologica dell’omosessualità, sia essa un gene, un ormone o un particolare tipo di cervello. Tra questi ne ricordiamo in particolare tre.
Il primo è lo studio condotto nel 1991 dal biologo statunitense Simon Le Vay (omosessuale e attivista gay), che sezionò alcuni cadaveri fra i quali quelli di uomini presumibilmente omosessuali. Le Vay scoprì che il terzo nucleo interstiziale dell’ipotalamo aveva dimensioni simili nelle donne e negli omosessuali, mentre risultava più grande negli uomini di cui non si conosceva l’orientamento sessuale. Chiaramente non può essere considerato attendibile un confronto tra l’ipotalamo di omosessuali e quello di uomini dall’orientamento sessuale sconosciuto. Inoltre bisogna tenere in considerazione la plasticità del cervello, il fatto che tutti i maschi studiati con tendenze omosessuali erano affetti da AIDS e che non si può escludere che un comportamento omosessuale influenzi parti dell’encefalo. Alla fine lo stesso Le Vay dichiarò: “Non ho provato che l’omosessualità è genetica, né ho trovato una causa genetica dell’omosessualità. Non ho dimostrato che omosessuali si nasce”.
Bailey&Pillard, invece, pubblicarono nello stesso anno uno studio su coppie di fratelli, uno dei quali con tendenze omosessuali, per rilevare eventuali ereditarietà dell’omosessualità. I risultati portarono alla netta esclusione di una causa genetica dell’omosessualità e avvalorarono l’ipotesi che sia proprio l’ambiente, e in particolar modo quello familiare, a determinarla. Infatti si verificò che dati due fratelli gemelli omozigoti (con lo stesso patrimonio genetico), se il primo è omosessuale, il secondo ha il 52% di probabilità di esserlo. Nonostante la percentuale sia alta, la concordanza dovrebbe essere del 100% per dimostrare la presenza di un “gene gay”. Tra due gemelli eterozigoti la percentuale scende al 22%, se i due fratelli non sono gemelli è il 9,2%, mentre se sono fratelli adottivi si alza al 10,5% (chiaro segno dell’influenza della famiglia).
Un terzo studio da considerare è quello condotto dal genetista Dean Hamer (anch’egli omosessuale e attivista gay), che si concentrò su un marcatore genetico che, secondo lui, giocava “qualche ruolo” in una minoranza di uomini omosessuali (fino al 30%). Ma che dire del rimanente 70% e degli uomini eterosessuali, dato che non fu verificato se anch’essi presentassero lo stesso marcatore? Hamer alla conclusione delle ricerche fu costretto ad ammettere che “nella maggior parte dei casi l’orientamento sessuale non è ereditario”.


Quali sono le cause dell’omosessualità?

Quali sono dunque le cause dell’omosessualità? Essenzialmente sono quattro: le relazioni familiari, quelle con i pari, le malformazioni fisiche e gli abusi sessuali. Un esempio di malformazione fisica che può portare ad una tendenza omosessuale può essere il labbro leporino (“Non potrò mai baciare qualcuno”), per quanto riguarda le relazioni con i pari, invece, può essere che un bambino particolarmente fragile non riesca ad inserirsi nel gruppo dei compagni di classe, ma venga da loro rifiutato e per questo scelga di “rifugiarsi” tra le bambine, che lo accoglieranno probabilmente con maggiore facilità, creando però confusione nello sviluppo della sua identità sessuale.
La componente comune, tuttavia, è l’incapacità del bambino di sentirsi degno di essere un uomo e quindi di svilupparsi ed affermarsi nella società in quanto tale. Questo accade facilmente nel momento in cui il bambino maschio inizia a staccarsi dalla madre e ad identificarsi nel padre: se il padre non è disposto ad accogliere il figlio, o, d’altra parte, la madre si dimostra troppo possessiva, il bambino non riuscirà a sentirsi all’altezza del genere maschile, di cui il papà è il principale rappresentante. Avrà quindi difficoltà a relazionarsi anche con i suoi pari e si sentirà privo di quel “pacchetto” di virilità che ogni uomo deve faticosamente costruire.
L’omosessualità non va pertanto considerata una malattia, ma piuttosto un disordine o un disturbo dell’identità di genere, ed in quanto tale può essere guarito.


Il cambiamento è possibile?


Joseph Nicolosi,
fondatore di NARTH (National
Association for Research
and Therapy of Homosexuality
Spesso gli attivisti gay affermano che se si “è” omosessuali, allora lo si è per sempre. Questo non è vero, infatti  moltissime esperienze cliniche e soprattutto testimonianze di vita (come quella di Luca di Tolve) dimostrano che è possibile cambiare.
Esiste, ad esempio, una terapia che si propone il tentativo di riparare le ferite originarie che hanno portato all’omosessualità, attraverso l’analisi delle cause della sofferenza, il superamento del senso di inadeguatezza nei confronti delle persone del proprio sesso e la costruzione di legami non erotizzati con queste persone.
Già negli anni ’60 lo psicoanalista Irving Bieber attestava che circa il 27% dei pazienti con tendenze omosessuali sottopostisi a un trattamento psicoanalitico avevano cambiato orientamento sessuale. Nel 2001, invece, lo psichiatra statunitense Robert Spitzer verificò che su 200 soggetti che non provavano attrazione verso il sesso opposto, il 67% dopo un trattamento psicoterapeutico riportavano un’attrazione eterosessuale significativa e stabile. Attualmente i massimi esponenti della terapia ripartiva sono van den Aardweg e Nicolosi. Il primo, in particolare, riprende l’idea di Adler secondo cui l’omosessualità derivi da un complesso di inferiorità nei confronti del proprio genere sessuale di appartenenza. Per questo motivo fonda la propria psicoterapia sul superamento dell’espressione più tipica di questo complesso, ovvero l’autocommiserazione, combattuta efficacemente con l’autoironia, per poi passare ad un atteggiamento di apertura verso gli altri e verso il mondo.
Luca di Tolve: la sua potente testimonianza
di ex-omosessuale dimostra che è possibile
cambiare.
È importante ricordare che, secondo alcune statistiche, circa un terzo delle persone con tendenze omosessuali che si sottopongono ad una psicoterapia per cambiare orientamento sessuale raggiungono il proprio obbiettivo, un terzo non cambiano orientamento, ma ottengono un miglioramento dell’identità globale della persona e infine un terzo vedono la persistenza dell’orientamento omosessuale. Tuttavia bisogna sottolineare che si hanno risultati molto simili percentualmente per qualunque altro tipo di psicoterapia.


Quante sono le persone con tendenze omosessuali?

Al giorno d’oggi è in atto una vera e propria battaglia mediatica che punta alla normalizzazione del comportamento omosessuale e di conseguenza tende a “gonfiare” i dati riguardanti la sua percentuale di incidenza. In particolare gli attivisti gay sostengono che gli omosessuali rappresentano il 10% della popolazione, facendo riferimento alle ricerche di Alfred Kinsey, pubblicate nel 1948 nel volume “La sessualità maschile”, conosciuto anche come “Il rapporto Kinsey”. Tuttavia l’autore aveva pesantemente manipolato il campione di individui intervistati per ottenere questo dato: il 25% dei soggetti maschi intervistati erano detenuti per crimini sessuali,  l’unica scuola superiore presa in considerazione era un istituto in cui circa il 50% degli studenti aveva avuto contatti omosessuali, era stato intervistato un numero spropositato di “prostituti” maschi (almeno 200)… Inoltre vennero considerati “omosessuali” anche coloro che avevano avuto pensieri o contatti casuali nella prima adolescenza e vennero fatti sparire, per calcolare la percentuale, circa 1000 soggetti. Tutte queste manipolazioni vennero messe in atto da Kinsey per fornire delle basi scientifiche per una “nuova moralità” e per “educare il mondo” in base ad esse.
Le ricerche attendibili, invece, stimano che gli uomini con tendenze omosessuali stabili siano circa l’1-2% della popolazione, mentre per le donne la percentuale si abbassa ulteriormente.


Il matrimonio e le adozioni

Il matrimonio, che fonda la famiglia, non è un “modo di vivere la sessualità in coppia”: se fosse solo questo, si tratterebbe di una modalità in più tra le varie possibili. Non è neanche la semplice espressione di un amore sentimentale tra due persone: questa caratteristica è attribuita all'amore in generale nel quadro di un'amicizia. Il matrimonio è più di questo: è unione tra un uomo e una donna, che sono uguali in quanto persone, ma complementari in quanto maschio e femmina. La loro complementarietà sessuale e la fecondità che deriva dalla loro reciproca donazione appartengono alla natura stessa dell’istituzione matrimoniale. Le unioni omosessuali, dunque, sono profondamente differenti dal matrimonio e non posso essere equiparate ad esso per diverse ragioni.
La prima motivazione è di carattere puramente razionale: ogni legge posta dagli uomini deve essere conforme alla legge morale naturale, riconosciuta dalla retta ragione, e rispettare i diritti inalienabili di ogni persona. Di conseguenza, una legislazione non può conferire garanzie giuridiche analoghe a quelle dell’istituzione matrimoniale alle relazioni omosessuali perché andrebbe contro la retta ragione: legalizzandole verrebbe meno al dovere di promuovere e tutelare un'istituzione essenziale per il bene comune qual è il matrimonio. Inoltre bisogna sottolineare la differenza tra il comportamento omosessuale come fenomeno privato, e lo stesso comportamento quale relazione sociale legalmente prevista e approvata, fino a diventare una delle istituzioni dell'ordinamento giuridico. Il secondo fenomeno non solo è più grave, ma acquista una portata assai più vasta e profonda, e finirebbe per comportare modificazioni dell'intera organizzazione sociale che risulterebbero contrarie al bene comune, con l’ovvia svalutazione del matrimonio e la scomparsa di alcuni valori morali fondamentali.
Una seconda ragione è di ordine biologico e antropologico: le unioni omosessuali non possono assicurare adeguatamente la procreazione e la sopravvivenza della specie umana e perciò non devono essere legalmente riconosciute. Inoltre, l'assenza della bipolarità sessuale crea ostacoli allo sviluppo normale dei bambini eventualmente inseriti all'interno di queste unioni. Ad essi manca l'esperienza della maternità o della paternità, per questo inserire dei bambini nelle unioni omosessuali per mezzo dell'adozione significa di fatto fare violenza a questi bambini nel senso che ci si approfitta del loro stato di debolezza per introdurli in ambienti che non favoriscono il loro pieno sviluppo umano, andando contro il principio secondo cui i bambini sono in ogni caso la parte da tutelare, in quanto più debole ed indifesa.
Un motivo di tipo sociale, invece, sta nel fatto che la società stessa deve la sua sopravvivenza alla famiglia fondata sul matrimonio. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, a riguardo, dice che “La famiglia è la cellula originaria della vita sociale. È la società naturale in cui l’uomo e la donna sono chiamati al dono di sé nell’amore e nel dono della vita. L’autorità, la stabilità e la vita di relazione in seno alla famiglia costituiscono i fondamenti della libertà, della sicurezza, della fraternità nell’ambito della società”. La conseguenza inevitabile del riconoscimento legale delle unioni omosessuali, dunque, è la ridefinizione del matrimonio, che diventa un'istituzione la quale perde l'essenziale riferimento ai fattori collegati alla eterosessualità, come ad esempio il compito procreativo ed educativo. Se dal punto di vista legale il matrimonio tra due persone di sesso diverso fosse solo considerato come uno dei matrimoni possibili, il concetto di matrimonio subirebbe un cambiamento radicale e lo Stato si mostrerebbe neutrale di fronte a due modi differenti di vivere la sessualità, con grave danno al bene comune. Inoltre, bisogna ricordare che la discriminazione consiste nel trattare in modo diseguale coloro che si trovano nella stessa condizione, dunque non attribuire lo statuto giuridico di matrimonio a forme di vita che non sono né possono essere matrimoniali, non è discriminazione e non si oppone alla giustizia, ma anzi: è da essa richiesto.
Infine, vi è una motivazione di carattere giuridico: poiché le coppie matrimoniali svolgono il ruolo di garantire l'ordine delle generazioni e sono quindi di eminente interesse pubblico, il diritto civile conferisce loro un riconoscimento istituzionale. Le unioni omosessuali, invece, non esigono una specifica attenzione da parte dell'ordinamento giuridico, perché non rivestono alcun ruolo per il bene comune, ma anzi: possono essere ad esso nocive.
A queste motivazioni va aggiunto il fatto che in genere il matrimonio omosessuale non è il fine delle coppie omosessuali (soprattutto se formate da attivisti gay), ma un mezzo per “naturalizzare” l’omosessualità. Nella maggior parte dei casi non è desiderato realmente dalle coppie omosessuali: tanto più la relazione è aperta, tanto più essa ha possibilità di durare. Degli studi, infatti, hanno dimostrato che, mentre una relazione eterosessuale di 14 anni è considerata di breve durata, una relazione omosessuale di 5 anni è molto lunga.
Elton John e uno dei due figli comprati mediante
la pratica dell'utero in affitto.
Per quanto riguarda le adozioni di bambini da parte di coppie omosessuali, invece, è opportuno sottolineare il fatto che il “diritto al figlio” a cui si appellano non esiste, nemmeno per le coppie eterosessuali. Naturalmente non si può negare la sofferenza che provano le coppie omosessuali per la propria infertilità (che è comune a quella provata dalle coppie eterosessuali che non possono avere bambini), ma questa non è ragione sufficiente perché queste coppie ottengano il diritto all’adozione. Il bambino, infatti, non è un oggetto di diritto, ma un soggetto di diritto: il suo diritto è quello di avere una famiglia in cui avrà il massimo della possibilità di crescere nel migliore dei modi. Oltretutto, un bambino adottato deve già superare i traumi dell’abbandono e della doppia identità familiare, perciò è necessario che abbia due punti di riferimento: una madre, per riconciliarsi con la donna, e un padre, per conoscere la figura di un uomo senza il quale sua madre non avrebbe potuto dargli la vita.
Va infine ricordato che l’adozione esiste per dare una famiglia al bambino e riparare la sua situazione di sofferenza, non per sopperire alla sofferenza di una coppia che non può avere figli. Per questo motivo le esigenze e la serenità del bambino sono assolutamente prioritarie nella scelta della coppia che diventerà la sua famiglia adottiva.


Omofobia

Il termine “fobia” indica una paura intensa, esagerata, per situazioni, oggetti o azioni che il soggetto prova nonostante spesso non ne capisca la ragione e che sfocia in vere e proprie crisi d’ansia più o meno intense e paralizzanti (claustrofobia, aracnofobia…). È quindi chiaramente inopportuno definire chi non condivide l’ideologia gay “omofobo”, dato che la stessa “omofobia” non appare negli elenchi di fobie nei manuali diagnostici. Essa infatti non è una malattia, ma un atteggiamento di non condivisione dell’ideologia gay e di non approvazione nei confronti dell’omosessualità (che non significa, naturalmente, odio o disprezzo nei confronti delle persone con tendenze omosessuali).
Questo termine, tuttavia, è stato scelto inizialmente a carattere intimidatorio: se una persona vuole essere considerata ragionevole (quindi non malata, fobica), deve necessariamente condividere gli obbiettivi del movimento gay. Attualmente però quello che inizialmente era solo un’intimidazione, sta diventando sempre più una vera e propria minaccia: gli attivisti gay premono perché vengano approvate leggi che puniscano gli atteggiamenti definiti “omofobi”. L’omofobia, quindi, non è più considerata come una malattia, ma come un vero e proprio crimine, che può essere punito con sanzioni o addirittura con il carcere.
Spesso inoltre gli attivisti gay additano alla “società omofoba” la responsabilità dei vari disturbi psicologici delle persone con tendenze omosessuali (depressione, ansia, dipendenza da fumo, droga o alcool, tendenza al suicidio…), ma in realtà tutti questi problemi hanno una causa endogena connessa all’omosessualità stessa. Basti pensare che alcune ricerche dimostrano che anche in paesi decisamente favorevoli all’omosessualità il livello di sofferenza tra persone con tendenze omosessuali è molto alto (Sandfort e altri, 2001).


Omosessualità e Chiesa


Il Catechismo della Chiesa Cattolica ai numeri 2357, 2358 e 2359 tratta il tema dell’omosessualità, definendola un’inclinazione oggettivamente disordinata. Bisogna infatti ammettere l'esistenza di leggi immutabili, inscritte negli elementi costitutivi della natura umana, che si manifestano identiche in tutti gli esseri dotati di ragione. Queste leggi, volute da Dio per il pieno sviluppo e la santificazione dell’uomo, riguardano anche l’etica sessuale, cha ha un valore fondante nella vita umana. In questo campo esistono principi e norme che la Chiesa ha sempre trasmesso nei suoi insegnamenti, per quanto potessero essere opposti alle opinioni e ai costumi del mondo. Essi hanno origine dalla conoscenza della legge divina e della natura umana e quindi non possono ritenersi superati né messi in dubbio, col pretesto di una nuova situazione culturale. Sulla base di questi principi il Concilio Vaticano II ha dichiarato che è il rispetto della finalità dell’atto sessuale, ovvero la donazione reciproca e la procreazione umana, a garantirne l’onestà. Per questo motivo, secondo l'ordine morale oggettivo, le relazioni omosessuali sono atti privi della loro regola essenziale e indispensabile. Esse sono condannate dalla Sacra Scrittura come gravi depravazioni e poiché li atti omosessuali sono intrinsecamente disordinati, non possono ricevere in nessun caso alcuna approvazione.
L’inclinazione delle persone omosessuali in sé non è considerata un peccato, anzi: il Catechismo sottolinea che per la maggior parte delle persone in cui è profondamente radicata costituisce una vera e propria prova. Nonostante questo, però, costituisce una tendenza verso un comportamento intrinsecamente cattivo dal punto di vista morale, poiché contrario alla legge naturale. Gli esseri umani, infatti, sono creature di Dio, chiamate a rispecchiare, nella complementarietà dei sessi, l'interiore unità del Creatore. Essi realizzano questo compito in modo singolare, quando cooperano con lui nella trasmissione della vita, mediante la reciproca donazione sponsale. La Chiesa celebra nel sacramento del matrimonio il disegno divino dell'unione amorosa e donatrice di vita dell'uomo e della donna, per questo motivo solo nella relazione coniugale l'uso della facoltà sessuale può essere moralmente retto. Pertanto una persona che si comporta in modo omosessuale agisce immoralmente: l’attività omosessuale non esprime un’unione complementare, capace di trasmettere la vita e dunque impedisce la propria realizzazione e felicità perché è contraria alla sapienza creatrice di Dio.
Papa Francesco, nel 2010: "L’unione tra persone dello stesso sesso difetta
degli elementi biologici e antropologici propri del matrimonio e della famiglia.
È priva della dimensione coniugale e dell’apertura alla procreazione."
Naturalmente le persone omosessuali vanno comunque accolte con rispetto, compassione e delicatezza, a loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione e va deplorato con fermezza che siano state e siano ancora oggetto di espressioni malevole e di azioni violente. Simili comportamenti meritano la condanna dei pastori della Chiesa perché rivelano una mancanza di rispetto per gli altri: la dignità propria di ogni persona dev'essere sempre rispettata nelle parole, nelle azioni e nelle legislazioni.
Tuttavia, la doverosa reazione alle ingiustizie commesse contro le persone omosessuali non può portare in nessun modo all'affermazione che la condizione omosessuale non sia disordinata ed inoltre bisogna evitare la presunzione infondata e umiliante che il comportamento delle persone omosessuali sia sempre e totalmente soggetto a coazione e pertanto senza colpa. In realtà anche nelle persone con tendenza omosessuale dev’essere riconosciuta quella libertà fondamentale che caratterizza la persona umana e le conferisce la sua particolare dignità. Per questo motivo, la Chiesa chiama anche queste persone alla castità e, se sono cristiane, ad unire le proprie difficoltà al sacrificio della croce del Signore. 

mercoledì 20 agosto 2014

La difesa della famiglia di fronte alla cultura della morte



Per prepararci meglio alle Giornate di Formazione che avranno inizio il 23 Agosto a Tuscania, pubblicheremo in questi giorni i testi di alcune conferenze che si terranno durante le giornate.
Cominciamo con la conferenza di Virginia Coda Nunziante, paladina pro-life, organizzatrice dell'annuale Marcia Nazionale per la Vita, l'evento più importante nel nostro paese, per quanto riguarda la difesa della vita. Nella conferenza ci parlerà dei gravissimi attacchi che la famiglia sta subendo in questi anni in ogni parte del mondo, in particolare in Italia, e di come reagire di fronte a quella che è una vera e propria strategia di distruzione della famiglia.

Quando nel 1961 si celebrò il primo centenario dello Stato nazionale, la famiglia costituiva ancora la cellula fondante della società italiana. Qualcosa cominciò però a cambiare profondamente in quegli anni a seguito della rivoluzione culturale del ’68 che si presentò come una rivoluzione nel quotidiano e nell’ambito familiare e che, mediante una rivolta generazionale, intendeva “liberare” gli istinti dell’individuo e delle masse dal giogo imposto da secoli di cultura e di civiltà. Il divorzio e l’aborto furono le prime tappe del processo che ha portato alla disgregazione della famiglia.

         Rev. Padri, reverende suore, cari amici,
         Il mio tema è la difesa della famiglia davanti alla cultura della morte e a questo proposito vorrei brevemente fare un quadro della situazione odierna.
Secondo la teoria del gender, non esistono più il genere
maschile e femminile ma ognuno è ciò in cui si identifica.
L’Italia è in Europa uno dei paesi con il più basso tasso di natalità che impedisce il ricambio generazionale; vi è un crollo della fecondità, crollo della nuzialità, aumento dei divorzi e delle forme di vita non matrimoniali tra cui le famose coppie di fatto che molti comuni stanno promuovendo (anche il comune di Roma sta lavorando su questo); promozione delle unioni omosessuali per portarle ad essere riconosciute e legalizzate; e poi la pratica della contraccezione, dell’aborto, della fecondazione artificiale per sganciare sempre di più la nascita dei figli dall’unione tra un uomo e una donna; la promozione dell’educazione sessuale nelle scuole e l’imposizione della teoria del gender che vorrebbe distruggere gli “stereotipi” di formule quali “uomo-donna”, “maschio-femmina”.
In Italia stanno cercando inoltre di imporre la legge sull’omofobia che non ci permetterebbe più di criticare i comportamenti omosessuali (e dunque neanche organizzare incontri come quello odierno). E in ultimo, l’Unione Europea ha votato varie risoluzioni (Estrela, Lunacek) nello scorso anno, indicative per i Paesi membri, nelle quali si è cercato di promuovere i “nuovi” diritti umani, e cioè:
-         limitazione per medici e infermieri del diritto all’obiezione di coscienza. Il documento cita testualmente “gli ospedali e le cliniche di stampo religioso in tutta la UE”: gli Stati membri dovranno vigilare su di essi per impedire che venga pratica l’obiezione di coscienza quando va contro i “nuovi diritti”;
-         rieducazione dei medici e la formazioni dei nuovi medici «sviluppando e attuando programmi e corsi di educazione e formazione post-laurea obbligatori sui temi riguardanti la salute sessuale e i diritti riproduttivi indirizzati agli studenti di medicina e agli operatori sanitari», tenendo conto delle particolari esigenze di «lesbiche, bisessuali o transessuali, bambini e giovani, persone LGBTI» (lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuati)
-         garantire a tutti, anche ai minorenni, in maniera sempre più diffusa l’aborto e la contraccezione per cui gli Stati membri dovranno “ricorrere a vari metodi per raggiungere i giovani, quali campagne pubblicitarie, marketing sociale per l’uso dei preservativi e altri metodi contraccettivi, e iniziative quali linee verdi telefoniche confidenziali” e soprattutto dovranno essere “accessibili senza il consenso dei genitori e dei tutori” (per esempio io stessa ho scoperto solo pochi giorni fa che in Italia i contraccettivi sono sottoposti all’Iva al 10% e non al 20-21 come per gli altri prodotti)
-         la fecondazione assistita perché la risoluzione intende «riconoscere che la salute e i diritti sessuali e riproduttivi costituiscono un elemento fondamentale della dignità umana di cui occorre tener conto nel contesto più ampio della discriminazione strutturale e delle disuguaglianze di genere» e di conseguenza gli Stati membri dovranno «offrire scelte riproduttive e servizi per la fertilità in un quadro non discriminatorio e (…) garantire l’accesso ai trattamenti per la fertilità e alla procreazione medica assistita anche per le donne senza un partner e le lesbiche».
-         Dovranno inoltre essere «obbligatori» corsi di «educazione sessuale a scuola» che includano « la fornitura di informazioni non discriminatorie e la comunicazione di un’opinione positiva riguardo alle persone LGBTI, così da sostenere e tutelare efficacemente i diritti di giovani LGBTI».

         Davanti a questo terribile scenario, noi cattolici abbiamo a mio avviso, dei doveri ben precisi:
-         informarci e capire che vi è una strategia di lunga durata che vuole distruggere la famiglia e la civiltà cristiana
-         reagire con tutti i mezzi che abbiamo a disposizione per riaffermare i diritti di Dio sulla società

La strategia di distruzione della famiglia
"...la Chiesa nel suo magistero e tutti i grandi pensatori
politici, hanno parlato della famiglia come prima cellula
della società..."
La famiglia è nata con l'uomo così come con l'uomo nasce la società, nasce ogni forma di società fino a quella società perfetta che è lo stato, fino a quell'altra società perfetta più alta dello stato che è la Chiesa, società naturale e soprannaturale ad un tempo. Ed è per questo che la Chiesa nel suo magistero, ma non solo la Chiesa, tutti i grandi pensatori politici, filosofi classici da Aristotele in poi, hanno parlato della famiglia come prima cellula della società "seminarium rei pubblice", primo microcosmo sociale, immagine modello di tutta la società che dalla famiglia nasce e dalla famiglia si espande. Affermava ancora negli anni ‘60 Giovanni XXIII: “la società non è costituita da una sovrapposizione di individui, bensì da un insieme di famiglie. E i diritti delle famiglie sono anteriori e superiori a quelli dello Stato”. Il rapporto tra la famiglia e lo Stato però non è un rapporto di contrapposizione. La famiglia fa lo Stato, come ci ricorda il termine Patria, che significa la terra del Padre. Questo termine che in origine indicava il territorio della famiglia, si è poi esteso al Regno intero, poiché il Re era considerato il Padre del popolo. Anche il termine Nazione viene dal latino nasci, nascere, e richiama l’idea di famiglia.
         La storia della nazione italiana, come tutte le nazioni europee, è la storia delle famiglie che la compongono. E questo ben prima della nascita dello Stato unitario, il 17 marzo 1861. Il Regno sabaudo, con il quale nacque l’Italia, volle emancipare lo Stato dalla religione attraverso la formula cavouriana “libera Chiesa in libero Stato”, ma conservò la morale tradizionale, sia pure con un’impronta laico-massonica. La famiglia restò uno dei pilastri della società italiana e costituì l’unico prezioso punto di riferimento nei momenti di crisi come i cambiamenti istituzionali e le guerre succedutosi nell’arco di un secolo.
         Gli artefici del Risorgimento rispettarono la famiglia naturale, sia pure laicamente intesa e in essa videro, accanto alla Patria, il fondamento della società.   Patria e Famiglia furono considerati come valori degni di tutela pubblica, seppure svincolati dal terzo valore, quello religioso. Dio, lungi da rappresentare il fondamento dei primi due pilastri, doveva essere relegato nella sfera privata. Questa concezione ottocentesca della morale, che sopravviverà fino alla Seconda guerra mondiale ebbe il suo manifesto nel romanzo Cuore di De Amicis (1886), sui cui valori si sono formate generazioni di italiani.
Tra il 1861 e il 1945, Patria e famiglia furono le due colonne portanti della società italiana. E ancora negli anni tragici della Seconda Guerra Mondiale, soprattutto nel periodo dal settembre '43 all'aprile '45, quando l'Italia era divisa in due, sommersa da eserciti stranieri, la famiglia rappresentò l'unico elemento vivo e solido che sorresse gli individui e salvò l’unità nazionale.
         Quando nel 1961 si celebrò il primo centenario dello Stato nazionale, la famiglia, fondata sul matrimonio indissolubile, costituiva ancora la cellula fondante della società italiana. Ma qualcosa cominciò a cambiare profondamente in quegli anni a seguito della grande rivoluzione culturale del ’68.
Uno dei precursori del ’68 era stato lo psicanalista Wilhelm Reich (1897-1957), ebreo austriaco a cui si deve il primo tentativo coerente di una sintesi tra marxismo e freudismo, cioè di una psicanalisi rivoluzionaria. Fin dagli anni ’30 egli aveva fondato un movimento secondo cui l’avversario principale da combattere era la morale cattolica e tradizionale, incarnata dall’istituto famigliare. Reich morì nel 1957, in un manicomio degli Stati Uniti, ma il suo messaggio fu riproposto in forma meno grossolana e violenta da Herbert Marcuse, uno dei principali ideologi del ‘68, e soprattutto da strutturalisti come Michel Foucault e da teorici della “antipsichiatria” come David Cooper per il quale la rivoluzione passa attraverso la distruzione della famiglia che ha una funzione di “mediazione sociale”. Uno dei libri più noti di David Cooper, più volte ristampato da Einaudi, ha il titolo significativo La morte della famiglia. Questa era la convinzione che iniziò a diffondersi alla fine degli anni Sessanta del Novecento: l’estinzione, prossima e inevitabile, dell’istituto famigliare.
         La tesi di fondo della Rivoluzione del '68 era proprio quella secondo cui il marxismo andava superato perché limitava in qualche modo la sua offensiva rivoluzionaria all'aspetto strettamente politico senza incidere su quello più propriamente familiare e personale. Da cui slogan come quello che l'operaio degli anni '68-'70 di sinistra è rivoluzionario in fabbrica ma reazionario in famiglia. E dunque essendo un reazionario in famiglia non è un vero rivoluzionario. Il compito della rivoluzione anti-familista del '68 è quella di portare la rivoluzione dall'ambito puramente statuale all'ambito familiare perché solo in questo modo la rivoluzione potrà essere una rivoluzione autenticamente culturale che arrivi a trasformare l'essenza stessa dell'uomo senza limitarsi all'aspetto esteriore e superficiale a cui sembrava condannarla la prospettiva marxista classica. Il neo-marxismo degli anni '68 e '70 ebbe una sua espressione nel femminismo di cui ricorderete qualche slogan come quello urlato spesso dalle donne in piazza: "Non più madri, mogli, figlie, distruggiamo le famiglie". Erano gli anni in cui Pasolini definiva sul "Corriere della Sera" il matrimonio, un “piccolo patto criminale”. La famiglia sembrava morta o destinata ad una rapida scomparsa.
"...Il processo di degradazione della famiglia italiana ebbe
la sua prima pietra angolare nella legge sul divorzio..."
Quel che è certo è che il processo di degradazione della famiglia italiana ebbe la sua prima pietra angolare nella legge sul divorzio approvata il 1 dicembre 1970. Al divorzio seguì la legge sul “nuovo diritto di famiglia” promulgata il 19 maggio 1975 che inseriva nell’ordinamento giuridico le istanze del femminismo libertario ed egualitario. Pochi compresero la portata rivoluzionaria del nuovo diritto di famiglia che abolì l'istituto della potestà maritale, istituendo la piena uguaglianza dei coniugi; soppresse la formulazione del dovere dei figli di onorare i genitori (art. 315); abolì l’adulterio quale causa di separazione per colpa del coniuge e venne praticamente riconosciuto il diritto all’infedeltà (art. 151).
Sciolto dunque con il divorzio il vincolo dell’indissolubilità e scalzato con il nuovo diritto di famiglia quel principio di autorità che costituisce il fondamento di ogni convivenza civile, la famiglia italiana subiva un colpo mortale, le cui conseguenze oggi si manifestano nella profonda crisi dei rapporti tra i coniugi e tra figli e genitori.
Ed alla fine degli anni ’70, esattamente il 22 maggio 1978, arrivò in Italia anche l’aborto, vero e proprio omicidio di Stato in un momento in cui il governo era completamente in mano alla classe politica democristiana, da Giovanni Leone, presidente della Repubblica, a Giulio Andreotti, presidente del Consiglio. Essi firmarono la legge abortista per evitare una crisi di governo, assumendosi terribili responsabilità di fronte a Dio e alla storia.
La fecondazione artificiale nega il più banale diritto di ogni
essere umano: il diritto ad un padre e una madre naturali.
Dopo di ciò vennero la pillola, il divorzio breve, la fecondazione artificiale, l’eutanasia; oggi la proposta di legge sull’omofobia e sul riconoscimento giuridico delle unioni gay in discussione in Parlamento preparano la strada ad un’ulteriore tappa, che è la legalizzazione del matrimonio omosessuale con l’adozione dei bambini da parte delle coppie omosessuali. Ma si punta alla legalizzazione dell’incesto e della pedofilia: i radicali lo dicono apertamente ed esistono già dei partiti politici pedofili (ad esempio in Olanda). Per poi arrivare alla zoofilia. Non stiamo esagerando. All’epoca del divorzio, quando i cattolici fedeli combattevano per la salvaguardia dell’indissolubilità matrimoniale e per questo erano chiamati intransigenti ed oscurantisti... essi ribadivano nei loro scritti e nelle loro conferenze che il divorzio sarebbe stato solo la prima tappa per arrivare poi all’aborto e all’eutanasia. Ma i “benpensanti”, tra cui la maggior parte della nostra classe politica cattolica, li tacciavano di “profeti di sventura”: mai – dicevano – si sarebbe arrivati all’aborto, all’uccisione dell’innocente, non vi era nessun nesso tra questi mali ed erano i soliti catastrofisti e retrogradi a non capire che la società stava cambiando e dunque bisognava adeguarsi con la semplice accettazione del divorzio. Sappiamo bene come andarono poi le cose...
E’ importante capire che tutto ciò è frutto di una precisa strategia e se non si reagirà con fermezza, questo processo non si fermerà perché viene da lontano e non arretreranno finché non avranno ottenuto ciò che desiderano.

La doverosa reazione
Questa è la reale situazione nella quale ci troviamo. Oggi, di fronte a questa crisi, che è una crisi economica, politica, sociale ma principalmente morale e religiosa, cosa possiamo fare? Dobbiamo reagire. Non possiamo limitarci a lamentarci dicendo che tutto va male. Ognuno di noi è interpellato, ognuno di noi deve porsi delle domande e dare delle risposte. E principalmente noi in quanto cattolici. Non solo abbiamo dei doveri nei confronti della nostra famiglia, della nostra comunità, del nostro paese, ma abbiamo dei precisi doveri nei confronti di Dio. Dio ci ha creato, ci mantiene in vita, ci ha redenti versando tutto il Suo preziosissimo Sangue per noi. Dio è Re della società e questa regalità sociale di Nostro Signore Gesù Cristo siamo noi a doverla difendere a costo della nostra stessa vita (tutti noi abbiamo ricevuto la Cresima, e questo vuol dire diventare “soldati” di Cristo). Prima era scontato: si viveva in una società cristiana e il cristianesimo aveva permeato tutta la vita sociale. Ma adesso non è più così e lo sappiamo bene il perché: il demonio vuole essere il re di questo mondo, ma odiando Dio con tutte le sue forze odia l’opera di Dio e per cui vuole la distruzione dell’uomo. E tutto quello di cui abbiamo parlato prima mira a distruggere l’uomo fin dall’infanzia, pervertendone l’intelletto e il cuore.
"..abbiamo dei precisi doveri verso Dio. Dio ci ha creato,
ci mantiene in vita, ci ha redenti versando tutto
il Suo preziosissimo Sangue per noi."
E allora in concreto, cosa possiamo fare? Innanzi tutto occorre reagire nella nostra vita quotidiana, non soccombendo al “politicamente” o “religiosamente” corretto, ma ribadendo sempre la Verità, con la V maiuscola. E poi agire nella sfera pubblica. Alcuni di voi lo avranno già sentito ma è molto importante ricordare un discorso che fece Papa Benedetto XVI ai vescovi americani: i cattolici devono riappropriarsi della piazza pubblica per non lasciarla ai soli avversari, i cattolici devono far sentire la loro voce e riaffermare che non vi è compromesso possibile sui valori non negoziabili. E questi valori sono la vita, la famiglia, l’educazione. Valori interconnessi tra di loro perché la vita umana nasce e si sviluppa all’interno di una famiglia, fondata sul matrimonio indissolubile tra un uomo e una donna, e il fine del matrimonio non è solo la procreazione biologica, ma l’educazione dei figli che vengono messi al mondo, perché ogni essere umano che nasce ha un’anima e il suo destino è il Cielo. E la missione dei genitori non è quella di soddisfare le esigenze materiali dei loro figli, ma di aiutarli a raggiungere il loro fine soprannaturale, la loro vera felicità, che è Dio, unico fine degli uomini, delle famiglie e delle nazioni.
Permettetemi in chiusura di dire due parole sulla difesa della vita. Senza la vita non vi è alcun altro valore. Una società che uccide i propri figli è una società che si autodistrugge, è una società nella quale non vi è più posto per Dio.
L’aborto è una ferita che non si rimargina: così come non si rimargina in una donna non si rimargina nella società. E’ una ferita sempre più profonda nel corpo sociale e dunque suscita reazioni che noi dobbiamo alimentare e guidare perché ciò che è contro natura deve essere combattuto.
La Marcia per la Vita è l'evento pro-life più importante in Italia. Vogliamo
ribadire che l'essere umano innocente ha il diritto di vivere e nessuna legge
ha l'autorità di sopprimere la vita umana indifesa.
Ed è per questo che già da qualche anno si organizzano, anche in Italia, le Marce per la Vita. La prossima sarà sempre a Roma il 10 maggio 2015. Perché una Marcia? Perché noi vogliamo ribadire che l’essere umano innocente ha il diritto di vivere e nessuna legge ha l’autorità di sopprimere la vita umana indifesa. Noi non vogliamo limitarci a proclamare il diritto umano alla vita. Vogliamo anche protestare contro una legislazione iniqua e immorale che sancisce, sotto il nome di aborto, o ancora più ambiguamente di interruzione di gravidanza, il diritto a uccidere l’innocente. Noi non possiamo accettare la legalizzazione dell’omicidio e vogliamo che la nostra protesta sia pubblica e collettiva, sia la protesta di un popolo che si riunisce e marcia per levare la propria voce a nome di chi non può parlare, non può difendersi, a nome delle centinaia di milioni di vittime di questo olocausto.
Ed è importante essere numerosi e determinati. I nemici di Dio, i nemici della civiltà cristiana devono capire che non siamo più disposti a subire passivamente i loro soprusi, perché di ciò si tratta, ma che hanno in noi degli avversari implacabili. E l’esercitarci a scendere in piazza ci aiuterà quando dovremmo combattere progetti di legge futuri come la legalizzazione del matrimonio omosessuale o l’eutanasia o altre aberrazioni che ci verranno proposte. Non è una scelta, è un dovere nei confronti dei nostri figli, delle future generazioni, ma soprattutto, nei confronti di Dio. Loro ci dicono che Dio è morto e noi rispondiamo con il grido dei Cristeros: Viva Cristo Re! Noi dobbiamo alimentare questo amore nei nostri cuori, nelle nostre anime e riverberalo sulla società.

E’ dunque importante essere presenti a questi appuntamenti pubblici, e qui non posso che ringraziare la congregazione del Verbo Incarnato per la loro sempre numerosa e gioiosa partecipazione. Quest'anno a Roma eravamo 50.000, ma il prossimo anno dobbiamo essere ancora più numerosi e ognuno di noi deve fare lo sforzo di essere presente e di portare una persona in più. L’essere uniti in queste battaglie è molto importante perché dà a noi tutti una grande forza. Ci rendiamo conto di non essere soli, che ci sono tante altre persone come noi che non si rassegnano e che sono disposte anche a grandi sacrifici pur di difendere ciò in cui credono. Ma il numero non è tutto. Saremo sempre una minoranza in questa società scristianizzata, ma dobbiamo essere una minoranza santa perché solo questo ci assicurerà la vittoria, in Cielo e in terra. Chiediamo in questo senso l’aiuto e l’intercessione della Madonna, alla quale la Marcia è stata affidata fin dal primo anno. Lei ci ha promesso a Fatima che infine il Suo Cuore Immacolato trionferà. ChiediamoLe di poter essere dei semplici strumenti di questo trionfo: a noi lo sforzo e la lotta e a Lei la vittoria.