La difesa della famiglia
di fronte alla cultura della morte
Per prepararci meglio alle Giornate di Formazione che avranno inizio il 23 Agosto a Tuscania, pubblicheremo in questi giorni i testi di alcune conferenze che si terranno durante le giornate.
Cominciamo con la conferenza di Virginia Coda Nunziante, paladina pro-life, organizzatrice dell'annuale Marcia Nazionale per la Vita, l'evento più importante nel nostro paese, per quanto riguarda la difesa della vita. Nella conferenza ci parlerà dei gravissimi attacchi che la famiglia sta subendo in questi anni in ogni parte del mondo, in particolare in Italia, e di come reagire di fronte a quella che è una vera e propria strategia di distruzione della famiglia.
Quando
nel 1961 si celebrò il primo centenario dello Stato nazionale, la famiglia
costituiva ancora la cellula fondante della società italiana. Qualcosa cominciò
però a cambiare profondamente in quegli anni a seguito della rivoluzione
culturale del ’68 che si presentò come una rivoluzione nel quotidiano e
nell’ambito familiare e che, mediante una rivolta generazionale, intendeva
“liberare” gli istinti dell’individuo e delle masse dal giogo imposto da secoli
di cultura e di civiltà. Il divorzio e l’aborto furono le prime tappe del processo
che ha portato alla disgregazione della famiglia.
Rev. Padri, reverende suore, cari amici,
Il mio tema è la difesa della famiglia davanti alla cultura
della morte e a questo proposito vorrei brevemente fare un quadro della
situazione odierna.
Secondo la teoria del gender, non esistono più il genere maschile e femminile ma ognuno è ciò in cui si identifica. |
L’Italia
è in Europa uno dei paesi con il più basso tasso di natalità che impedisce il
ricambio generazionale; vi è un crollo della fecondità, crollo della nuzialità,
aumento dei divorzi e delle forme di vita non matrimoniali tra cui le famose
coppie di fatto che molti comuni stanno promuovendo (anche il comune di Roma
sta lavorando su questo); promozione delle unioni omosessuali per portarle ad
essere riconosciute e legalizzate; e poi la pratica della contraccezione,
dell’aborto, della fecondazione artificiale per sganciare sempre di più la
nascita dei figli dall’unione tra un uomo e una donna; la promozione
dell’educazione sessuale nelle scuole e l’imposizione della teoria del gender
che vorrebbe distruggere gli “stereotipi” di formule quali “uomo-donna”,
“maschio-femmina”.
In
Italia stanno cercando inoltre di imporre la legge sull’omofobia che non ci
permetterebbe più di criticare i comportamenti omosessuali (e dunque neanche
organizzare incontri come quello odierno). E in ultimo, l’Unione Europea ha votato varie risoluzioni (Estrela, Lunacek) nello scorso anno, indicative per i Paesi membri, nelle quali si è cercato di promuovere i “nuovi” diritti umani, e cioè:
-
limitazione per
medici e infermieri del diritto all’obiezione di coscienza. Il documento cita
testualmente “gli ospedali e le cliniche
di stampo religioso in tutta la UE”: gli Stati membri dovranno vigilare su
di essi per impedire che venga pratica l’obiezione di coscienza quando va
contro i “nuovi diritti”;
-
rieducazione dei
medici e la formazioni dei nuovi medici «sviluppando
e attuando programmi e corsi di educazione e formazione post-laurea obbligatori sui temi riguardanti la
salute sessuale e i diritti riproduttivi indirizzati agli studenti di medicina
e agli operatori sanitari», tenendo conto delle particolari esigenze di «lesbiche, bisessuali o transessuali, bambini
e giovani, persone LGBTI» (lesbiche, gay, bisessuali, transgender e
intersessuati)
-
garantire a
tutti, anche ai minorenni, in maniera sempre più diffusa l’aborto e la
contraccezione per cui gli Stati membri dovranno “ricorrere a vari metodi per raggiungere i giovani, quali campagne
pubblicitarie, marketing sociale per l’uso dei preservativi e altri metodi
contraccettivi, e iniziative quali linee verdi telefoniche confidenziali” e
soprattutto dovranno essere “accessibili
senza il consenso dei genitori e dei tutori” (per esempio io stessa ho
scoperto solo pochi giorni fa che in Italia i contraccettivi sono sottoposti
all’Iva al 10% e non al 20-21 come per gli altri prodotti)
-
la fecondazione
assistita perché la risoluzione intende «riconoscere che
la salute e i diritti sessuali e riproduttivi costituiscono un elemento
fondamentale della dignità umana di cui occorre tener conto nel contesto più
ampio della discriminazione strutturale e delle disuguaglianze di genere» e
di conseguenza gli Stati membri dovranno «offrire
scelte riproduttive e servizi per la fertilità in un quadro non discriminatorio
e (…) garantire l’accesso ai trattamenti per la fertilità e alla procreazione
medica assistita anche per le donne senza un partner e le lesbiche».
-
Dovranno inoltre
essere «obbligatori» corsi di «educazione
sessuale a scuola» che includano « la
fornitura di informazioni non discriminatorie e la comunicazione di un’opinione
positiva riguardo alle persone LGBTI, così da sostenere e tutelare
efficacemente i diritti di giovani LGBTI».
Davanti a questo terribile scenario, noi cattolici abbiamo a
mio avviso, dei doveri ben precisi:
-
informarci e
capire che vi è una strategia di lunga durata che vuole distruggere la famiglia
e la civiltà cristiana
-
reagire con
tutti i mezzi che abbiamo a disposizione per riaffermare i diritti di Dio sulla
società
La
strategia di distruzione della famiglia
"...la Chiesa nel suo magistero e tutti i grandi pensatori politici, hanno parlato della famiglia come prima cellula della società..." |
La
famiglia è nata con l'uomo così come con l'uomo nasce la società, nasce ogni
forma di società fino a quella società perfetta che è lo stato, fino a
quell'altra società perfetta più alta dello stato che è la Chiesa, società
naturale e soprannaturale ad un tempo. Ed è per questo che la Chiesa nel suo
magistero, ma non solo la Chiesa, tutti i grandi pensatori politici, filosofi
classici da Aristotele in poi, hanno parlato della famiglia come prima cellula
della società "seminarium rei
pubblice", primo microcosmo sociale, immagine modello di tutta la
società che dalla famiglia nasce e dalla famiglia si espande. Affermava ancora
negli anni ‘60 Giovanni XXIII: “la
società non è costituita da una sovrapposizione di individui, bensì da un
insieme di famiglie. E i diritti delle
famiglie sono anteriori e superiori a quelli dello Stato”. Il rapporto
tra la famiglia e lo Stato però non è un rapporto di contrapposizione. La
famiglia fa lo Stato, come ci ricorda il termine Patria, che significa la terra
del Padre. Questo termine che in origine indicava il territorio della famiglia,
si è poi esteso al Regno intero, poiché il Re era considerato il Padre del
popolo. Anche il termine Nazione viene dal latino nasci, nascere, e richiama
l’idea di famiglia.
La storia della nazione italiana, come tutte le nazioni
europee, è la storia delle famiglie che la compongono. E questo ben prima della
nascita dello Stato unitario, il 17 marzo 1861. Il Regno sabaudo, con il quale
nacque l’Italia, volle emancipare lo Stato dalla religione attraverso la
formula cavouriana “libera Chiesa in
libero Stato”, ma conservò la morale tradizionale, sia pure con un’impronta
laico-massonica. La famiglia restò uno dei pilastri della società italiana e
costituì l’unico prezioso punto di riferimento nei momenti di crisi come i
cambiamenti istituzionali e le guerre succedutosi nell’arco di un secolo.
Gli artefici del Risorgimento rispettarono la famiglia
naturale, sia pure laicamente intesa e in essa videro, accanto alla Patria, il
fondamento della società. Patria e Famiglia
furono considerati come valori degni di tutela pubblica, seppure svincolati dal
terzo valore, quello religioso. Dio, lungi da rappresentare il fondamento dei
primi due pilastri, doveva essere relegato nella sfera privata. Questa
concezione ottocentesca della morale, che sopravviverà fino alla Seconda guerra
mondiale ebbe il suo manifesto nel romanzo Cuore
di De Amicis (1886), sui cui valori si sono formate generazioni di italiani.
Tra
il 1861 e il 1945, Patria e famiglia furono le due colonne portanti della
società italiana. E ancora negli anni tragici della Seconda Guerra Mondiale,
soprattutto nel periodo dal settembre '43 all'aprile '45, quando l'Italia era
divisa in due, sommersa da eserciti stranieri, la famiglia rappresentò l'unico
elemento vivo e solido che sorresse gli individui e salvò l’unità nazionale.
Quando nel 1961 si celebrò il primo centenario dello Stato
nazionale, la famiglia, fondata sul matrimonio indissolubile, costituiva ancora
la cellula fondante della società italiana. Ma qualcosa cominciò a cambiare
profondamente in quegli anni a seguito della grande rivoluzione culturale del
’68.
Uno
dei precursori del ’68 era stato lo
psicanalista Wilhelm Reich (1897-1957), ebreo
austriaco a cui si deve il primo tentativo coerente di una sintesi tra marxismo
e freudismo, cioè di una psicanalisi rivoluzionaria. Fin dagli anni ’30 egli aveva
fondato un movimento secondo cui l’avversario principale da combattere era la
morale cattolica e tradizionale, incarnata dall’istituto famigliare. Reich morì
nel 1957, in un manicomio degli Stati Uniti, ma il suo messaggio fu riproposto
in forma meno grossolana e violenta da Herbert Marcuse, uno dei principali
ideologi del ‘68, e soprattutto da strutturalisti come Michel Foucault e da
teorici della “antipsichiatria” come David Cooper per il quale la rivoluzione
passa attraverso la distruzione della famiglia che ha una funzione di
“mediazione sociale”. Uno dei libri più noti di David Cooper, più volte
ristampato da Einaudi, ha il titolo significativo La morte della famiglia. Questa era la convinzione che iniziò a
diffondersi alla fine degli anni Sessanta del Novecento: l’estinzione, prossima
e inevitabile, dell’istituto famigliare.
La tesi di fondo della Rivoluzione del '68 era proprio
quella secondo cui il marxismo andava superato perché limitava in qualche modo
la sua offensiva rivoluzionaria all'aspetto strettamente politico senza
incidere su quello più propriamente familiare e personale. Da cui slogan come
quello che l'operaio degli anni '68-'70 di sinistra è rivoluzionario in
fabbrica ma reazionario in famiglia. E dunque essendo un reazionario in
famiglia non è un vero rivoluzionario. Il compito della rivoluzione
anti-familista del '68 è quella di portare la rivoluzione dall'ambito puramente
statuale all'ambito familiare perché solo in questo modo la rivoluzione potrà
essere una rivoluzione autenticamente culturale che arrivi a trasformare
l'essenza stessa dell'uomo senza limitarsi all'aspetto esteriore e superficiale
a cui sembrava condannarla la prospettiva marxista classica. Il neo-marxismo
degli anni '68 e '70 ebbe una sua espressione nel femminismo di cui ricorderete
qualche slogan come quello urlato spesso dalle donne in piazza: "Non più madri, mogli, figlie, distruggiamo
le famiglie". Erano gli anni in cui Pasolini definiva sul
"Corriere della Sera" il matrimonio, un “piccolo patto criminale”. La famiglia sembrava morta o destinata ad
una rapida scomparsa.
"...Il processo di degradazione della famiglia italiana ebbe la sua prima pietra angolare nella legge sul divorzio..." |
Quel
che è certo è che il processo di degradazione della famiglia italiana ebbe la
sua prima pietra angolare nella legge sul divorzio approvata il 1 dicembre
1970. Al divorzio seguì la legge sul “nuovo diritto di famiglia” promulgata il
19 maggio 1975 che inseriva nell’ordinamento giuridico le istanze del
femminismo libertario ed egualitario. Pochi compresero la portata
rivoluzionaria del nuovo diritto di famiglia che abolì l'istituto della potestà
maritale, istituendo la piena uguaglianza dei coniugi; soppresse la
formulazione del dovere dei figli di onorare i genitori (art. 315); abolì
l’adulterio quale causa di separazione per colpa del coniuge e venne praticamente
riconosciuto il diritto all’infedeltà (art. 151).
Sciolto
dunque con il divorzio il vincolo dell’indissolubilità e scalzato con il nuovo
diritto di famiglia quel principio di autorità che costituisce il fondamento di
ogni convivenza civile, la famiglia italiana subiva un colpo mortale, le cui
conseguenze oggi si manifestano nella profonda crisi dei rapporti tra i coniugi
e tra figli e genitori.
Ed
alla fine degli anni ’70, esattamente il 22 maggio 1978, arrivò in Italia anche
l’aborto, vero e proprio omicidio di Stato in un momento in cui il governo era
completamente in mano alla classe politica democristiana, da Giovanni Leone,
presidente della Repubblica, a Giulio Andreotti, presidente del Consiglio. Essi
firmarono la legge abortista per evitare una crisi di governo, assumendosi
terribili responsabilità di fronte a Dio e alla storia.
La fecondazione artificiale nega il più banale diritto di ogni essere umano: il diritto ad un padre e una madre naturali. |
Dopo
di ciò vennero la pillola, il divorzio breve, la fecondazione artificiale, l’eutanasia;
oggi la proposta di legge sull’omofobia e sul riconoscimento giuridico delle
unioni gay in discussione in Parlamento preparano la strada ad un’ulteriore tappa,
che è la legalizzazione del matrimonio omosessuale con l’adozione dei bambini
da parte delle coppie omosessuali. Ma si punta alla legalizzazione dell’incesto
e della pedofilia: i radicali lo dicono apertamente ed esistono già dei partiti
politici pedofili (ad esempio in Olanda). Per poi arrivare alla zoofilia. Non stiamo
esagerando. All’epoca del divorzio, quando i cattolici fedeli combattevano per
la salvaguardia dell’indissolubilità matrimoniale e per questo erano chiamati
intransigenti ed oscurantisti... essi ribadivano nei loro scritti e nelle loro
conferenze che il divorzio sarebbe stato solo la prima tappa per arrivare poi
all’aborto e all’eutanasia. Ma i “benpensanti”, tra cui la maggior parte della
nostra classe politica cattolica, li tacciavano di “profeti di sventura”: mai –
dicevano – si sarebbe arrivati all’aborto, all’uccisione dell’innocente, non vi
era nessun nesso tra questi mali ed erano i soliti catastrofisti e retrogradi a
non capire che la società stava cambiando e dunque bisognava adeguarsi con la
semplice accettazione del divorzio. Sappiamo bene come andarono poi le cose...
E’
importante capire che tutto ciò è frutto di una precisa strategia e se non si
reagirà con fermezza, questo processo non si fermerà perché viene da lontano e
non arretreranno finché non avranno ottenuto ciò che desiderano.
La
doverosa reazione
Questa
è la reale situazione nella quale ci troviamo. Oggi, di fronte a questa crisi,
che è una crisi economica, politica, sociale ma principalmente morale e
religiosa, cosa possiamo fare? Dobbiamo reagire. Non possiamo limitarci a
lamentarci dicendo che tutto va male. Ognuno di noi è interpellato, ognuno di
noi deve porsi delle domande e dare delle risposte. E principalmente noi in
quanto cattolici. Non solo abbiamo dei doveri nei confronti della nostra
famiglia, della nostra comunità, del nostro paese, ma abbiamo dei precisi
doveri nei confronti di Dio. Dio ci ha creato, ci mantiene in vita, ci ha
redenti versando tutto il Suo preziosissimo Sangue per noi. Dio è Re della
società e questa regalità sociale di Nostro Signore Gesù Cristo siamo noi a
doverla difendere a costo della nostra stessa vita (tutti noi abbiamo ricevuto
la Cresima, e questo vuol dire diventare “soldati” di Cristo). Prima era
scontato: si viveva in una società cristiana e il cristianesimo aveva permeato
tutta la vita sociale. Ma adesso non è più così e lo sappiamo bene il perché:
il demonio vuole essere il re di questo mondo, ma odiando Dio con tutte le sue
forze odia l’opera di Dio e per cui vuole la distruzione dell’uomo. E tutto
quello di cui abbiamo parlato prima mira a distruggere l’uomo fin dall’infanzia,
pervertendone l’intelletto e il cuore.
"..abbiamo dei precisi doveri verso Dio. Dio ci ha creato, ci mantiene in vita, ci ha redenti versando tutto il Suo preziosissimo Sangue per noi." |
E
allora in concreto, cosa possiamo fare? Innanzi tutto occorre reagire nella
nostra vita quotidiana, non soccombendo al “politicamente” o “religiosamente”
corretto, ma ribadendo sempre la Verità, con la V maiuscola. E poi agire nella
sfera pubblica. Alcuni di voi lo avranno già sentito ma è molto importante
ricordare un discorso che fece Papa Benedetto XVI ai vescovi americani: i
cattolici devono riappropriarsi della piazza pubblica per non lasciarla ai soli
avversari, i cattolici devono far sentire la loro voce e riaffermare che non vi
è compromesso possibile sui valori non negoziabili. E questi valori sono la
vita, la famiglia, l’educazione. Valori interconnessi tra di loro perché la
vita umana nasce e si sviluppa all’interno di una famiglia, fondata sul
matrimonio indissolubile tra un uomo e una donna, e il fine del matrimonio non
è solo la procreazione biologica, ma l’educazione dei figli che vengono messi
al mondo, perché ogni essere umano che nasce ha un’anima e il suo destino è il
Cielo. E la missione dei genitori non è quella di soddisfare le esigenze
materiali dei loro figli, ma di aiutarli a raggiungere il loro fine soprannaturale,
la loro vera felicità, che è Dio, unico fine degli uomini, delle famiglie e
delle nazioni.
Permettetemi
in chiusura di dire due parole sulla difesa della vita. Senza la vita non vi è
alcun altro valore. Una società che uccide i propri figli è una società che si
autodistrugge, è una società nella quale non vi è più posto per Dio.
L’aborto
è una ferita che non si rimargina: così come non si rimargina in una donna non
si rimargina nella società. E’ una ferita sempre più profonda nel corpo sociale
e dunque suscita reazioni che noi dobbiamo alimentare e guidare perché ciò che
è contro natura deve essere combattuto.
Ed
è per questo che già da qualche anno si organizzano, anche in Italia, le Marce
per la Vita. La prossima sarà sempre a Roma il 10 maggio 2015. Perché una
Marcia? Perché noi vogliamo ribadire che l’essere umano innocente ha il diritto
di vivere e nessuna legge ha l’autorità di sopprimere la vita umana indifesa.
Noi non vogliamo limitarci a proclamare il diritto umano alla vita. Vogliamo
anche protestare contro una legislazione iniqua e immorale che sancisce, sotto
il nome di aborto, o ancora più ambiguamente di interruzione di gravidanza, il
diritto a uccidere l’innocente. Noi non possiamo accettare la legalizzazione
dell’omicidio e vogliamo che la nostra protesta sia pubblica e collettiva, sia
la protesta di un popolo che si riunisce e marcia per levare la propria voce a
nome di chi non può parlare, non può difendersi, a nome delle centinaia di
milioni di vittime di questo olocausto.
Ed
è importante essere numerosi e determinati. I nemici di Dio, i nemici della
civiltà cristiana devono capire che non siamo più disposti a subire
passivamente i loro soprusi, perché di ciò si tratta, ma che hanno in noi degli
avversari implacabili. E l’esercitarci a scendere in piazza ci aiuterà quando
dovremmo combattere progetti di legge futuri come la legalizzazione del
matrimonio omosessuale o l’eutanasia o altre aberrazioni che ci verranno
proposte. Non è una scelta, è un dovere nei confronti dei nostri figli, delle
future generazioni, ma soprattutto, nei confronti di Dio. Loro ci dicono che
Dio è morto e noi rispondiamo con il grido dei Cristeros: Viva Cristo Re! Noi dobbiamo alimentare questo amore nei
nostri cuori, nelle nostre anime e riverberalo sulla società.
E’
dunque importante essere presenti a questi appuntamenti pubblici, e qui non
posso che ringraziare la congregazione del Verbo Incarnato per la loro sempre
numerosa e gioiosa partecipazione. Quest'anno a Roma eravamo 50.000, ma il
prossimo anno dobbiamo essere ancora più numerosi e ognuno di noi deve fare lo
sforzo di essere presente e di portare una persona in più. L’essere uniti in
queste battaglie è molto importante perché dà a noi tutti una grande forza. Ci
rendiamo conto di non essere soli, che ci sono tante altre persone come noi che
non si rassegnano e che sono disposte anche a grandi sacrifici pur di difendere
ciò in cui credono. Ma il numero non è tutto. Saremo sempre una minoranza in
questa società scristianizzata, ma dobbiamo essere una minoranza santa perché solo questo ci assicurerà la vittoria, in
Cielo e in terra. Chiediamo in questo senso l’aiuto e l’intercessione della
Madonna, alla quale la Marcia è stata affidata fin dal primo anno. Lei ci ha
promesso a Fatima che infine il Suo Cuore Immacolato trionferà. ChiediamoLe di
poter essere dei semplici strumenti di questo trionfo: a noi lo sforzo e la
lotta e a Lei la vittoria.
Nessun commento:
Posta un commento