Omosessualità
L’identità sessuale
Per poter trattare il tema
dell’omosessualità è indispensabile fare un passo indietro, cercando di
definire prima di tutto cos’è l’identità di una persona. Essa costituisce la
sua essenza fondamentale, ciò che realmente è un uomo: unità di materia (corpo)
e forma (anima). A questo concetto si lega strettamente quello di “identità
sessuale”, infatti la sessualità è un aspetto fondante dell’identità umana:
siamo maschi o femmine sin dal momento del concepimento. La sessualità, tuttavia, può essere distinta
nelle sue parti, che se non sono collegate in maniera armonica possono portare
a patologie, disordini o disturbi della sessualità umana. Questi aspetti sono:
sesso biologico, sesso psicologico e orientamento sessuale. Per quanto riguarda
il sesso biologico, esso può essere distinto in sesso genetico (determinato dai
cromosomi X e Y), gonadico (responsabile dello sviluppo ormonale) e somatico
(caratteri sessuali secondari). L’orientamento sessuale, invece, è la
preferenza sessuale che dirige il comportamento sessuale. Il sesso psicologico,
infine è composto dall’identità sessuale, che è la coscienza della propria
appartenenza ad un determinato sesso e delle differenze con l’altro sesso, e dall’identità
di genere, che è la consapevolezza del ruolo che gli individui del proprio
sesso svolgono nella società.
A questo punto sorge spontanea
una domanda: l’identità di una persona è predefinita o si forma nel tempo,
seguendo gli influssi dell’ambiente in cui la persona stessa vive e cresce? Per
cercare di rispondere a questa domanda si può fare riferimento al concetto
aristo
telico di “natura”, che è il principio, presente in ogni cosa che guida
la sua crescita e il suo sviluppo. Può essere considerata quindi una sorta di
progetto, consiste in ciò che le cose sarebbero se non ci fossero interferenze
negative. Dunque vige un rapporto molto complesso tra natura ed ambiente: il
progetto dato dalla natura può realizzarsi pienamente solo se le condizioni
ambientali lo permettono. Ma il fatto che talvolta l’ambiente impedisca il
compiersi di questo progetto, non ne nega l’esistenza.
Come nelle piante e negli
animali, anche nell’uomo è presente una natura, ovvero un progetto, che guida
la formazione della sua identità. Questo progetto prevede, ad esempio, che il
bambino maschio cresca, diventi uomo e si senta attratto dalle donne. Ma se
vari fattori interferiscono durante questo processo, può avvenire che il
bambino non riesca a sviluppare appieno la sua identità.
Un esempio chiarissimo di questa
interferenza dell’ambiente è l’omosessualità.
L’omosessualità
Si definisce così un’attrazione
stabile e prevalente nel confronti delle persone del proprio sesso. È quindi
una tendenza, una preferenza, e in quanto tale non va a definire l’identità di
una persona. Per questo motivo non si può parlare di omosessuali, perché questo
termine sottintende un ruolo fondamentale della preferenza sessuale nel
costituire l’essenza di un uomo, ma solo di persone con tendenze omosessuali.
L’omosessualità, inoltre, non è determinata dal comportamento omosessuale: ci
sono persone eterosessuali (quindi attratte dal sesso opposto) che però hanno
rapporti omosessuali e persone con tendenza omosessuale che non hanno rapporti
sessuali o li hanno con persone dell’altro sesso.
Importante è anche la distinzione
tra persone omosessuali e gay. La parola “gay” infatti indica un’identità
ideologico-politica, nella quale la maggior parte delle persone omosessuali non
si riconosce, nonostante gli attivisti gay si siano auto-investiti del ruolo di
portavoce del “mondo omosessuale”.
Omosessuali si nasce?
Un problema fondamentale è
questo: l’omosessualità è naturale, come sostengono i gay? Tornando al concetto
aristotelico di natura si può facilmente dare una risposta negativa: non
insorgerebbe se non ci fossero interferenze ambientali nello sviluppo della
persona. Nessuno, infatti, nasce omosessuale: sono stati portati avanti diversi
studi scientifici che hanno escluso l’esistenza di una causa biologica
dell’omosessualità, sia essa un gene, un ormone o un particolare tipo di
cervello. Tra questi ne ricordiamo in particolare tre.
Il primo è lo studio condotto nel
1991 dal biologo statunitense Simon Le Vay (omosessuale e attivista gay), che
sezionò alcuni cadaveri fra i quali quelli di uomini presumibilmente
omosessuali. Le Vay scoprì che il terzo nucleo interstiziale dell’ipotalamo
aveva dimensioni simili nelle donne e negli omosessuali, mentre risultava più
grande negli uomini di cui non si conosceva l’orientamento sessuale.
Chiaramente non può essere considerato attendibile un confronto tra l’ipotalamo
di omosessuali e quello di uomini dall’orientamento sessuale sconosciuto.
Inoltre bisogna tenere in considerazione la plasticità del cervello, il fatto
che tutti i maschi studiati con tendenze omosessuali erano affetti da AIDS e
che non si può escludere che un comportamento omosessuale influenzi parti
dell’encefalo. Alla fine lo stesso Le Vay dichiarò: “Non ho provato che
l’omosessualità è genetica, né ho trovato una causa genetica dell’omosessualità.
Non ho dimostrato che omosessuali si nasce”.
Bailey&Pillard, invece,
pubblicarono nello stesso anno uno studio su coppie di fratelli, uno dei quali
con tendenze omosessuali, per rilevare eventuali ereditarietà
dell’omosessualità. I risultati portarono alla netta esclusione di una causa
genetica dell’omosessualità e avvalorarono l’ipotesi che sia proprio
l’ambiente, e in particolar modo quello familiare, a determinarla. Infatti si
verificò che dati due fratelli gemelli omozigoti (con lo stesso patrimonio genetico),
se il primo è omosessuale, il secondo ha il 52% di probabilità di esserlo.
Nonostante la percentuale sia alta, la concordanza dovrebbe essere del 100% per
dimostrare la presenza di un “gene gay”. Tra due gemelli eterozigoti la
percentuale scende al 22%, se i due fratelli non sono gemelli è il 9,2%, mentre
se sono fratelli adottivi si alza al 10,5% (chiaro segno dell’influenza della
famiglia).
Un terzo studio da considerare è
quello condotto dal genetista Dean Hamer (anch’egli omosessuale e attivista
gay), che si concentrò su un marcatore genetico che, secondo lui, giocava
“qualche ruolo” in una minoranza di uomini omosessuali (fino al 30%). Ma che
dire del rimanente 70% e degli uomini eterosessuali, dato che non fu verificato
se anch’essi presentassero lo stesso marcatore? Hamer alla conclusione delle
ricerche fu costretto ad ammettere che “nella maggior parte dei casi
l’orientamento sessuale non è ereditario”.
Quali sono le cause dell’omosessualità?
Quali sono dunque le cause
dell’omosessualità? Essenzialmente sono quattro: le relazioni familiari, quelle
con i pari, le malformazioni fisiche e gli abusi sessuali. Un esempio di
malformazione fisica che può portare ad una tendenza omosessuale può essere il
labbro leporino (“Non potrò mai baciare qualcuno”), per quanto riguarda le
relazioni con i pari, invece, può essere che un bambino particolarmente fragile
non riesca ad inserirsi nel gruppo dei compagni di classe, ma venga da loro
rifiutato e per questo scelga di “rifugiarsi” tra le bambine, che lo accoglieranno
probabilmente con maggiore facilità, creando però confusione nello sviluppo
della sua identità sessuale.
La componente comune, tuttavia, è
l’incapacità del bambino di sentirsi degno di essere un uomo e quindi di
svilupparsi ed affermarsi nella società in quanto tale. Questo accade
facilmente nel momento in cui il bambino maschio inizia a staccarsi dalla madre
e ad identificarsi nel padre: se il padre non è disposto ad accogliere il
figlio, o, d’altra parte, la madre si dimostra troppo possessiva, il bambino
non riuscirà a sentirsi all’altezza del genere maschile, di cui il papà è il
principale rappresentante. Avrà quindi difficoltà a relazionarsi anche con i
suoi pari e si sentirà privo di quel “pacchetto” di virilità che ogni uomo deve
faticosamente costruire.
L’omosessualità non va pertanto
considerata una malattia, ma piuttosto un disordine o un disturbo dell’identità
di genere, ed in quanto tale può essere guarito.
Il cambiamento è possibile?
Joseph Nicolosi, fondatore di NARTH (National Association for Research and Therapy of Homosexuality) |
Spesso gli attivisti gay
affermano che se si “è” omosessuali, allora lo si è per sempre. Questo non è
vero, infatti moltissime esperienze
cliniche e soprattutto testimonianze di vita (come quella di Luca di Tolve)
dimostrano che è possibile cambiare.
Esiste, ad esempio, una terapia
che si propone il tentativo di riparare le ferite originarie che hanno portato
all’omosessualità, attraverso l’analisi delle cause della sofferenza, il
superamento del senso di inadeguatezza nei confronti delle persone del proprio
sesso e la costruzione di legami non erotizzati con queste persone.
Già negli anni ’60 lo
psicoanalista Irving Bieber attestava che circa il 27% dei pazienti con
tendenze omosessuali sottopostisi a un trattamento psicoanalitico avevano
cambiato orientamento sessuale. Nel 2001, invece, lo psichiatra statunitense
Robert Spitzer verificò che su 200 soggetti che non provavano attrazione verso
il sesso opposto, il 67% dopo un trattamento psicoterapeutico riportavano
un’attrazione eterosessuale significativa e stabile. Attualmente i massimi
esponenti della terapia ripartiva sono van den Aardweg e Nicolosi. Il primo, in
particolare, riprende l’idea di Adler secondo cui l’omosessualità derivi da un
complesso di inferiorità nei confronti del proprio genere sessuale di
appartenenza. Per questo motivo fonda la propria psicoterapia sul superamento
dell’espressione più tipica di questo complesso, ovvero l’autocommiserazione,
combattuta efficacemente con l’autoironia, per poi passare ad un atteggiamento
di apertura verso gli altri e verso il mondo.
Luca di Tolve: la sua potente testimonianza di ex-omosessuale dimostra che è possibile cambiare. |
È importante ricordare che,
secondo alcune statistiche, circa un terzo delle persone con tendenze
omosessuali che si sottopongono ad una psicoterapia per cambiare orientamento
sessuale raggiungono il proprio obbiettivo, un terzo non cambiano orientamento,
ma ottengono un miglioramento dell’identità globale della persona e infine un
terzo vedono la persistenza dell’orientamento omosessuale. Tuttavia bisogna
sottolineare che si hanno risultati molto simili percentualmente per qualunque
altro tipo di psicoterapia.
Quante sono le persone con tendenze omosessuali?
Al giorno d’oggi è in atto una
vera e propria battaglia mediatica che punta alla normalizzazione del
comportamento omosessuale e di conseguenza tende a “gonfiare” i dati
riguardanti la sua percentuale di incidenza. In particolare gli attivisti gay
sostengono che gli omosessuali rappresentano il 10% della popolazione, facendo
riferimento alle ricerche di Alfred Kinsey, pubblicate nel 1948 nel volume “La
sessualità maschile”, conosciuto anche come “Il rapporto Kinsey”. Tuttavia
l’autore aveva pesantemente manipolato il campione di individui intervistati
per ottenere questo dato: il 25% dei soggetti maschi intervistati erano
detenuti per crimini sessuali, l’unica
scuola superiore presa in considerazione era un istituto in cui circa il 50%
degli studenti aveva avuto contatti omosessuali, era stato intervistato un
numero spropositato di “prostituti” maschi (almeno 200)… Inoltre vennero
considerati “omosessuali” anche coloro che avevano avuto pensieri o contatti
casuali nella prima adolescenza e vennero fatti sparire, per calcolare la
percentuale, circa 1000 soggetti. Tutte queste manipolazioni vennero messe in
atto da Kinsey per fornire delle basi scientifiche per una “nuova moralità” e
per “educare il mondo” in base ad esse.
Le ricerche attendibili, invece,
stimano che gli uomini con tendenze omosessuali stabili siano circa l’1-2%
della popolazione, mentre per le donne la percentuale si abbassa ulteriormente.
Il matrimonio e le adozioni
Il matrimonio, che fonda la
famiglia, non è un “modo di vivere la sessualità in coppia”: se fosse solo
questo, si tratterebbe di una modalità in più tra le varie possibili. Non è
neanche la semplice espressione di un amore sentimentale tra due persone:
questa caratteristica è attribuita all'amore in generale nel quadro di
un'amicizia. Il matrimonio è più di questo: è unione tra un uomo e una donna, che
sono uguali in quanto persone, ma complementari in quanto maschio e femmina. La
loro complementarietà sessuale e la fecondità che deriva dalla loro reciproca
donazione appartengono alla natura stessa dell’istituzione matrimoniale. Le
unioni omosessuali, dunque, sono profondamente differenti dal matrimonio e non
posso essere equiparate ad esso per diverse ragioni.
La prima motivazione è di
carattere puramente razionale: ogni legge posta dagli uomini deve essere
conforme alla legge morale naturale, riconosciuta dalla retta ragione, e rispettare
i diritti inalienabili di ogni persona. Di conseguenza, una legislazione non
può conferire garanzie giuridiche analoghe a quelle dell’istituzione
matrimoniale alle relazioni omosessuali perché andrebbe contro la retta
ragione: legalizzandole verrebbe meno al dovere di promuovere e tutelare
un'istituzione essenziale per il bene comune qual è il matrimonio. Inoltre
bisogna sottolineare la differenza tra il comportamento omosessuale come
fenomeno privato, e lo stesso comportamento quale relazione sociale legalmente
prevista e approvata, fino a diventare una delle istituzioni dell'ordinamento
giuridico. Il secondo fenomeno non solo è più grave, ma acquista una portata
assai più vasta e profonda, e finirebbe per comportare modificazioni
dell'intera organizzazione sociale che risulterebbero contrarie al bene comune,
con l’ovvia svalutazione del matrimonio e la scomparsa di alcuni valori morali
fondamentali.
Una seconda ragione è di ordine
biologico e antropologico: le unioni omosessuali non possono assicurare adeguatamente
la procreazione e la sopravvivenza della specie umana e perciò non devono
essere legalmente riconosciute. Inoltre, l'assenza della bipolarità sessuale
crea ostacoli allo sviluppo normale dei bambini eventualmente inseriti
all'interno di queste unioni. Ad essi manca l'esperienza della maternità o
della paternità, per questo inserire dei bambini nelle unioni omosessuali per
mezzo dell'adozione significa di fatto fare violenza a questi bambini nel senso
che ci si approfitta del loro stato di debolezza per introdurli in ambienti che
non favoriscono il loro pieno sviluppo umano, andando contro il principio
secondo cui i bambini sono in ogni caso la parte da tutelare, in quanto più
debole ed indifesa.
Un motivo di tipo sociale,
invece, sta nel fatto che la società stessa deve la sua sopravvivenza alla
famiglia fondata sul matrimonio. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, a
riguardo, dice che “La famiglia è la cellula originaria della vita sociale. È
la società naturale in cui l’uomo e la donna sono chiamati al dono di sé
nell’amore e nel dono della vita. L’autorità, la stabilità e la vita di
relazione in seno alla famiglia costituiscono i fondamenti della libertà, della
sicurezza, della fraternità nell’ambito della società”. La conseguenza
inevitabile del riconoscimento legale delle unioni omosessuali, dunque, è la
ridefinizione del matrimonio, che diventa un'istituzione la quale perde
l'essenziale riferimento ai fattori collegati alla eterosessualità, come ad
esempio il compito procreativo ed educativo. Se dal punto di vista legale il
matrimonio tra due persone di sesso diverso fosse solo considerato come uno dei
matrimoni possibili, il concetto di matrimonio subirebbe un cambiamento
radicale e lo Stato si mostrerebbe neutrale di fronte a due modi differenti di
vivere la sessualità, con grave danno al bene comune. Inoltre, bisogna
ricordare che la discriminazione consiste nel trattare in modo diseguale coloro
che si trovano nella stessa condizione, dunque non attribuire lo statuto
giuridico di matrimonio a forme di vita che non sono né possono essere
matrimoniali, non è discriminazione e non si oppone alla giustizia, ma anzi: è
da essa richiesto.
Infine, vi è una motivazione di
carattere giuridico: poiché le coppie matrimoniali svolgono il ruolo di garantire
l'ordine delle generazioni e sono quindi di eminente interesse pubblico, il
diritto civile conferisce loro un riconoscimento istituzionale. Le unioni
omosessuali, invece, non esigono una specifica attenzione da parte
dell'ordinamento giuridico, perché non rivestono alcun ruolo per il bene
comune, ma anzi: possono essere ad esso nocive.
A queste motivazioni va aggiunto
il fatto che in genere il matrimonio omosessuale non è il fine delle coppie
omosessuali (soprattutto se formate da attivisti gay), ma un mezzo per “naturalizzare”
l’omosessualità. Nella maggior parte dei casi non è desiderato realmente dalle
coppie omosessuali: tanto più la relazione è aperta, tanto più essa ha
possibilità di durare. Degli studi, infatti, hanno dimostrato che, mentre una relazione
eterosessuale di 14 anni è considerata di breve durata, una relazione
omosessuale di 5 anni è molto lunga.
Elton John e uno dei due figli comprati mediante la pratica dell'utero in affitto. |
Per quanto
riguarda le adozioni di bambini da parte di coppie omosessuali, invece, è
opportuno sottolineare il fatto che il “diritto al figlio” a cui si appellano
non esiste, nemmeno per le coppie eterosessuali. Naturalmente non si può negare
la sofferenza che provano le coppie omosessuali per la propria infertilità (che
è comune a quella provata dalle coppie eterosessuali che non possono avere
bambini), ma questa non è ragione sufficiente perché queste coppie ottengano il
diritto all’adozione. Il bambino, infatti, non è un oggetto di diritto, ma un
soggetto di diritto: il suo diritto è quello di avere una famiglia in cui avrà
il massimo della possibilità di crescere nel migliore dei modi. Oltretutto, un
bambino adottato deve già superare i traumi dell’abbandono e della doppia
identità familiare, perciò è necessario che abbia due punti di riferimento: una
madre, per riconciliarsi con la donna, e un padre, per conoscere la figura di
un uomo senza il quale sua madre non avrebbe potuto dargli la vita.
Va infine
ricordato che l’adozione esiste per dare una famiglia al bambino e riparare la
sua situazione di sofferenza, non per sopperire alla sofferenza di una coppia
che non può avere figli. Per questo motivo le esigenze e la serenità del
bambino sono assolutamente prioritarie nella scelta della coppia che diventerà
la sua famiglia adottiva.
Omofobia
Il termine “fobia” indica una
paura intensa, esagerata, per situazioni, oggetti o azioni che il soggetto
prova nonostante spesso non ne capisca la ragione e che sfocia in vere e
proprie crisi d’ansia più o meno intense e paralizzanti (claustrofobia,
aracnofobia…). È quindi chiaramente inopportuno definire chi non condivide
l’ideologia gay “omofobo”, dato che la stessa “omofobia” non appare negli
elenchi di fobie nei manuali diagnostici. Essa infatti non è una malattia, ma
un atteggiamento di non condivisione dell’ideologia gay e di non approvazione
nei confronti dell’omosessualità (che non significa, naturalmente, odio o
disprezzo nei confronti delle persone con tendenze omosessuali).
Questo termine, tuttavia, è stato
scelto inizialmente a carattere intimidatorio: se una persona vuole essere
considerata ragionevole (quindi non malata, fobica), deve necessariamente
condividere gli obbiettivi del movimento gay. Attualmente però quello che
inizialmente era solo un’intimidazione, sta diventando sempre più una vera e
propria minaccia: gli attivisti gay premono perché vengano approvate leggi che
puniscano gli atteggiamenti definiti “omofobi”. L’omofobia, quindi, non è più
considerata come una malattia, ma come un vero e proprio crimine, che può
essere punito con sanzioni o addirittura con il carcere.
Spesso inoltre gli attivisti gay
additano alla “società omofoba” la responsabilità dei vari disturbi psicologici
delle persone con tendenze omosessuali (depressione, ansia, dipendenza da fumo,
droga o alcool, tendenza al suicidio…), ma in realtà tutti questi problemi hanno
una causa endogena connessa all’omosessualità stessa. Basti pensare che alcune
ricerche dimostrano che anche in paesi decisamente favorevoli all’omosessualità
il livello di sofferenza tra persone con tendenze omosessuali è molto alto
(Sandfort e altri, 2001).
Omosessualità e Chiesa
Il Catechismo della Chiesa
Cattolica ai numeri 2357, 2358 e 2359 tratta il tema dell’omosessualità,
definendola un’inclinazione oggettivamente disordinata. Bisogna infatti
ammettere l'esistenza di leggi immutabili, inscritte negli elementi costitutivi
della natura umana, che si manifestano identiche in tutti gli esseri dotati di
ragione. Queste leggi, volute da Dio per il pieno sviluppo e la santificazione
dell’uomo, riguardano anche l’etica sessuale, cha ha un valore fondante nella
vita umana. In questo campo esistono principi e norme che la Chiesa ha sempre
trasmesso nei suoi insegnamenti, per quanto potessero essere opposti alle
opinioni e ai costumi del mondo. Essi hanno origine dalla conoscenza della
legge divina e della natura umana e quindi non possono ritenersi superati né
messi in dubbio, col pretesto di una nuova situazione culturale. Sulla base di
questi principi il Concilio Vaticano II ha dichiarato che è il rispetto della
finalità dell’atto sessuale, ovvero la donazione reciproca e la procreazione
umana, a garantirne l’onestà. Per questo motivo, secondo l'ordine morale
oggettivo, le relazioni omosessuali sono atti privi della loro regola
essenziale e indispensabile. Esse sono condannate dalla Sacra Scrittura come gravi
depravazioni e poiché li atti omosessuali sono intrinsecamente disordinati, non
possono ricevere in nessun caso alcuna approvazione.
L’inclinazione delle persone
omosessuali in sé non è considerata un peccato, anzi: il Catechismo sottolinea
che per la maggior parte delle persone in cui è profondamente radicata
costituisce una vera e propria prova. Nonostante questo, però, costituisce una
tendenza verso un comportamento intrinsecamente cattivo dal punto di vista
morale, poiché contrario alla legge naturale. Gli esseri umani, infatti, sono
creature di Dio, chiamate a rispecchiare, nella complementarietà dei sessi,
l'interiore unità del Creatore. Essi realizzano questo compito in modo
singolare, quando cooperano con lui nella trasmissione della vita, mediante la
reciproca donazione sponsale. La Chiesa celebra nel sacramento del matrimonio
il disegno divino dell'unione amorosa e donatrice di vita dell'uomo e della
donna, per questo motivo solo nella relazione coniugale l'uso della facoltà
sessuale può essere moralmente retto. Pertanto una persona che si comporta in
modo omosessuale agisce immoralmente: l’attività omosessuale non esprime
un’unione complementare, capace di trasmettere la vita e dunque impedisce la
propria realizzazione e felicità perché è contraria alla sapienza creatrice di
Dio.
Naturalmente le persone
omosessuali vanno comunque accolte con rispetto, compassione e delicatezza, a
loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione e va
deplorato con fermezza che siano state e siano ancora oggetto di espressioni
malevole e di azioni violente. Simili comportamenti meritano la condanna dei
pastori della Chiesa perché rivelano una mancanza di rispetto per gli altri: la
dignità propria di ogni persona dev'essere sempre rispettata nelle parole,
nelle azioni e nelle legislazioni.
Tuttavia, la doverosa reazione
alle ingiustizie commesse contro le persone omosessuali non può portare in
nessun modo all'affermazione che la condizione omosessuale non sia disordinata
ed inoltre bisogna evitare la presunzione infondata e umiliante che il comportamento
delle persone omosessuali sia sempre e totalmente soggetto a coazione e
pertanto senza colpa. In realtà anche nelle persone con tendenza omosessuale
dev’essere riconosciuta quella libertà fondamentale che caratterizza la persona
umana e le conferisce la sua particolare dignità. Per questo motivo, la Chiesa
chiama anche queste persone alla castità e, se sono cristiane, ad unire le
proprie difficoltà al sacrificio della croce del Signore.
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