Perché la Risurrezione di Gesù non fu un complotto degli apostoli
di Karlo Broussard, da www.catholic.com
Quando
si ha a che fare con la testimonianza dei primi cristiani sulla Risurrezione di
Gesù, è naturale chiedersi se sia credibile o no. Un sano scetticismo richiede
che ci assicuriamo della veridicità dell’affermazione di tale evento.
Un
modo per farlo consiste nell’offrire spiegazioni alternative, e una di queste è
la teoria del complotto. Questa teoria si propone di spiegare il sepolcro vuoto
di Cristo e le apparizioni post-mortem affermando
che i primi cristiani rubarono il corpo di Cristo e si inventarono la storia
della Risurrezione.
Non do
la colpa nessuno per aver sollevato la domanda, perché è naturale chiedersi: “i
primi cristiani si sono inventati questa storia?”.
Io
ritengo che non l’abbiano inventata e ci sono almeno due buoni motivi per
pensarlo.
La testimonianza degli
apostoli: due alternative
Innanzitutto,
i primi cristiani non avevano nulla da guadagnare e tutto da perdere dall’invenzione
della Risurrezione di Gesù. Come ho appreso dal mio mentore e amico padre
Robert Spitzer, questo tipo di pericolo produce il testimone più credibile, e
san Paolo lo capì bene. Paolo usa questo fatto come argomento a favore della
credibilità della testimonianza dei primi cristiani e presenta il suo argomento
come se non ci fossero altro che due alternative. Prima lettera ai Corinzi,
capitolo 15:
[14] Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede. [15] Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato Cristo, mentre non lo ha risuscitato, se è vero che i morti non risorgono. (1 Cor, 15:14-15)
San
Paolo presenta la seconda alternativa al versetto 19 e poi la espone ai
versetti 30-32:
[19] Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini… [30] E perché noi ci esponiamo al pericolo continuamente? [31] Ogni giorno io affronto la morte, come è vero che voi siete il mio vanto, fratelli, in Cristo Gesù nostro Signore! [32] Se soltanto per ragioni umane io avessi combattuto a Efeso contro le belve, a che mi gioverebbe? Se i morti non risorgono, mangiamo e beviamo, perché domani moriremo.
Notate
che nella prima parte san Paolo argomenta che se lui e i testimoni oculari
credessero in Dio, allora starebbero dando una falsa testimonianza nel
proclamare la Risurrezione di Gesù: «risultiamo falsi testimoni di Dio». Che
avrebbero da guadagnare i primi cristiani da questa bugia se credessero ancora
nel Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe? La dannazione! È ragionevole pensare che
i primi cristiani credessero che valesse la pena rischiare la loro salvezza
eterna per questa menzogna?
Nella
seconda parte, Paolo sembra considerare invece quello che loro avrebbero da
guadagnare da questa menzogna, se non credessero in Dio o nella Risurrezione. Al
versetto 19 scrive: «Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita» e al versetto
32: «Se soltanto per ragioni umane io avessi combattuto a Efeso contro le belve,
a che mi gioverebbe?». L’argomento di Paolo è che da questa menzogna loro non
hanno guadagnato nulla, tranne che
persecuzione e morte. Per Paolo, se questo è il guadagno, allora «mangiamo e
beviamo, perché domani moriremo».
Potrebbero
esserci altre spiegazioni alternative per la falsità della testimonianza della
Risurrezione che varrebbe la pena prendere in considerazione, ma per Paolo la
teoria del complotto non è una di queste.
La testimonianza
delle donne
Secondo
motivo per credere che i primi cristiani non hanno inventato la storia della
Risurrezione: il fatto che hanno incluso le donne come primi testimoni.
Uno
dei criteri che gli storici usano per testare la storicità di un fatto è il criterio dell’imbarazzo. Questo criterio
si riferisce ad ogni azione o parola che i primi cristiani avrebbero potuto
trovare imbarazzante e poco attraente da un punto di vista dell’apologetica.
Nessun evangelista avrebbe voluto includere questo tipo di informazione, se
avessero inventato questa storia, perché avrebbe minato lo scopo del Vangelo. Avere
delle donne come prime testimoni della Risurrezione rientra in questo criterio.
Nel
giudaismo del primo secolo, la testimonianza delle donne era inammissibile in
un tribunale: “Che non sia ammessa la testimonianza delle donne, a causa della
leggerezza e sfacciataggine del loro sesso” (Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche, 4.8.15).
Se
la testimonianza di una donna non era considerata credibile in un tribunale, sembrerebbe
logico ritenere che gli apostoli non avrebbero dovuto usare la testimonianza delle
donne per convincere i loro interlocutori della verità del sepolcro vuoto e
delle apparizioni del Cristo risorto. È più
ragionevole concludere, se gli evangelisti avessero creato questa storia a
tavolino, che avrebbero scelto degli uomini come primi testimoni, come ad
esempio Giuseppe di Arimatea e Nicodemo.
Lo
storico e attivista ateo Richard Carrier, nel capitolo 11 del suo libro Not the Impossible Faith, fa un’obiezione
a questo argomento. Dice che, dal momento che i Vangeli sono storia e non
documenti del tribunale, è errato che un apologeta cristiano vada dal “decoro
del tribunale alla credibilità di tutti i giorni”.
Inoltre,
afferma, mentre la testimonianza delle donne non veniva accettata in tribunale,
era ammissibile come fonte di affermazioni storiche. Carrier si riferisce alla
narrazione di Giuseppe Flavio del massacri di Gamala e Masada, che hanno
entrambi delle donne come loro fonti storiche.
In
risposta alla prima obiezione di Carrier, credo sia legittimo che un apologeta
cristiano usi l’inammissibilità della testimonianza delle donne in un
tribunale, perché gli evangelisti stavano cercando di convincere i loro interlocutori alla verità della Risurrezione. Non
stavano semplicemente raccontando un fatto storico ma stavano presentando una
convergenza di prove per dimostrare la verità della Risurrezione di Gesù:
sepolcro vuoto, diverse apparizioni dopo la morte, conversioni, etc.
Inoltre,
notate il motivo che dà Giuseppe Flavio per non ammettere la testimonianza
delle donne: “a causa della leggerezza e sfacciataggine del loro sesso”. La
parola leggerezza indica il trattare
un fatto serio con irriverenza o in un modo tale da mancare di rispetto. Forse
questa visione delle donne potrebbe condurre non a un rifiuto totale della loro
testimonianza, ma certamente la renderebbe meno desiderabile se qualcuno stesse
inventano una storia, specialmente quando sarebbe così facile usare degli
uomini come primi testimoni.
Neanche
il secondo argomento di Carrier è sufficiente. Per quanto riguarda il massacro
a Gamala, Giuseppe Flavio afferma che le due donne che servirono come testimoni
furono le sole che fuggirono (Guerra Giudaica, 4.82). Anche se non
esplicitamente, anche nel racconto del massacro di Masada, Giuseppe sembra
affermare che le due donne che furono testimoni dell’evento furono le uniche
sopravvissute (Guerra Giudaica, 7.399).
È
quindi ovvio che Giuseppe Flavio utilizzi la testimonianza delle donne per
questi eventi, dal momento che non era sopravvissuto nessun’altro.
Detto
questo, è facile vedere perché l’argomento di Carrier sul fatto che Giuseppe
Flavio fece affidamento sulla testimonianza di queste donne, non mina l’argomento
cristiano. Gli evangelisti avevano altre opzioni quando si trattava di decidere
chi dovevano essere i testimoni della Risurrezione di Cristo, ma Giuseppe
Flavio non avevano altre opzioni nella scelta dei testimoni per il racconto dei
massacri.
L’inaffidabilità
della testimonianza delle donne nel giudaismo del primo secolo può ancora
essere considerato come un criterio legittimo di imbarazzo e può quindi essere
usato dagli apologeti cristiani quando si parla della storicità della
Risurrezione di Gesù.
Ci
sono molti altri motivi utili a dimostrare l’irragionevolezza della teoria del
complotto. Ma credo che i due qui presentati siano sufficienti: innanzitutto,
la gente non muore per ciò che sa essere una menzogna; e i bugiardi non usano
testimoni inaffidabili per convincere della loro storia inventata.
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