Che cosa ha significato la nascita
della filosofia? E quali conseguenze ha prodotto questa immensa scoperta?
E’ risaputo che la filosofia sia nata
nel VII secolo a.C. nelle colonie greche dell’Asia Minore, ed è altrettanto
noto il fatto che le condizioni politico-culturali delle poleis greche abbiano favorito lo sviluppo delle arti, in
particolare la poesia, cui inizialmente è legato il pensiero filosofico. Ogni
manuale di Storia della Filosofia ha come primo capitolo una riflessione su
questo fatto, incontrovertibile, che ci immette immediatamente nella cosiddetta
filosofia naturalistica, vale a dire della ricerca dell’Arché e delle cause del
mondo fisico che i primi filosofi individuano in un principio supremo fisico[1]
come l’acqua, il fuoco, l’aria, etc.

Per noi è comune ragionare in questo
modo, ma nel VII secolo a.C. non era esattamente così: anche il sistema
teologico pagano infatti prevedeva che gli uomini soggiacessero alle leggi
degli dei, i quali potevano anche manifestare più o meno apertamente i propri umori[3],
sia al Fato al quale, addirittura!,
erano sottoposti gli stessi dei[4]:
gli uomini pertanto non erano propriamente liberi né nelle loro scelte né nel
rapporto con il mondo circostante cosicché era abituale (e continua ad essere
normale per le culture pagane che ancora esistono oggigiorno) non opporsi al
caos che si vede regnare nella natura. Le forze della natura potevano
semplicemente o essere assecondate oppure si cercava di placare i variabili
umori degli dei (che, ripetiamo, governano le forze della natura) per poter
cercare di sopravvivere: si tratta di una vera e propria stasi nella vita
dell’uomo in quanto le forze divine soverchiano i deboli tentativi degli
uomini. Non c’è, in pratica, un vero e proprio progresso (che prevede la soluzione, temporanea o duratura, di un
problema che si pone dinanzi all’uomo) ma di un continuo ritorno: anche la concezione della storia è influenzata da
questi eventi, in quanto si avrà una concezione
ciclica della storia che annulla il valore infinito di ogni comportamento
umano riducendolo solamente ad un atto all’interno del tutto[5].
Ebbene, fatta questa dovuta premessa,
con la nascita della filosofia noi assistiamo invece ad un capovolgimento:
l’uomo può indagare la natura delle cose, può entrare in esse, può decifrarle, può addirittura sottomerle al suo
giudizio (giudizio di un uomo fallace, beninteso). Ma se l’uomo riesce a far
questo, vuole dire che non considera più le cose come divine o, quantomeno,
pervase dal divino: come potrebbe, ad esempio, un semplice essere umano
contrastare con Poseidone per speculare sulla natura dell’acqua? Ma al di là
del dato meramente fisico, quest’uomo sarà costretto a porsi anche una domanda
circa la realtà profonda, vale a dire la realtà metafisica[6],
dell’acqua. Ma per fare questo, quest’uomo sarà costretto a vederle come
universali, cioè uguali nel tempo e nello spazio, e sarà costretto ad astrarre la natura della cosa, ma anche
a postulare dei principi che saranno
validi nel tempo e nello spazio per poter compiere la propria speculazione: tra
questi ultimi, sono da ricordare il principio
di non contraddizione[7] senza il quale non sarebbe mai stata
possibile alcuna ricerca filosofica ma anche nessuna scienza, cui seguono il principio di identità[8]
ed il principio del terzo escluso[9].
Tra i tre principi, quello di non contraddizione è quello di
fondamentale importanza perché l’uomo si percepisce come un qualcosa di diverso
da ciò che lo circonda e, pertanto, come soggetto operante sulle cose, le quali
a loro volta sono diverse tra di loro, e se procedessimo nell’applicazione del
principio a tutte le realtà capiremo sia che noi uomini siamo diversi dagli dei
ma che anche gli dei sono diversi sia da noi che dalle cose: il filosofo compie in questo modo una vera
e propria demitizzazione del reale, permettendo all’uomo di poter scoprire
i meccanismi che regolano il mondo fisico ma anche di indagare la realtà
profonda delle cose, che in filosofia prende il nome di ontologia[10].
Solamente partendo dal principio di non
contraddizione l’uomo ha potuto sviluppare i sistemi filosofici che conosciamo[11],
ma anche svolgere le più semplici analisi fisiche[12]:
la comprensione e l’accettazione di questo basilare principio ha permesso
all’umanità tutta, grazie all’opera dei primi filosofi (molti dei quali rimasti
anonimi ma ai quali va tutta la nostra gratitudine) di uscire dall’universo
mitico in cui è sommersa se impregnata di paganesimo.
Nei prossimi articoli continueremo a
sviscerare la portata rivoluzionaria della nascita della filosofia e che fin da
subito ha riguardato anche quelle che noi chiamiamo scienze matematiche, a
cominciare dalla geometria che possiamo definire come la rappresentazione ideale della natura delle cose. Appuntamento
pertanto alla prossima settimana!
Francesco Del Giudice
[1]
E’ doveroso mettere il termine in corsivo perché per i primi filosofi questi
fondamenti avevano comunque una natura non
fisica, benché non conoscessero la terminologia metafisica per descriverla
in maniera chiara e precisa.
[2]
In teologia l’esempio principale è dato dai miracoli fisici, vale a dire
dall’irruzione di un agente esterno (Dio) per modificare radicalmente una
situazione inevitabile. La Chiesa Cattolica ad esempio riconosce come miracoli
solamente quelle guarigioni improvvise, impossibili da spiegare e durature nel
tempo: i verdetti medici in questi casi riportano genericamente la dicitura di scientificamente ad oggi impossibile da spiegare.
[3]
A riprova di questo fatto, si veda il comportamento degli dei, ad esempio,
nell’Iliade e nell’Odissea.
[4]
«Coro: Chi
governa la necessità? / Prometeo:
Le Moire che tessono il filo e le Erinni dalla memoria implacabile. / Coro: E Zeus è più debole di loro? / Prometeo: Anche Zeus non può sfuggire
a ciò che è destinato»: Eschilo, Prometeo incatenato, vv. 515-518.
[5]
Si veda il primo articolo, del 19 Novembre 2016, della Rubrica di Storia Lux Veritatis di questo stesso blog.
[6]
Il termine deriva dal latino medievale metaphysica,
che a sua volta deriva dal greco μετὰ τὰ ϕυσικά.
Aristotele definiva questa dottrina con il termine «filosofia prima» (πρώτη ϕιλοσοϕία), da lui definita
come teoria dell’«ente in quanto ente» (ὂν ᾗ ὄν; in
latino: ens qua ens),
che studia la realtà considerata solo nei suoi caratteri universalissimi che la
fanno essere tale. Il termine non è quindi
aristotelico ma deriva dalla catalogazione dei libri del filosofo di Stagira in
cui il libro sulla filosofia prima veniva
dopo (μετὰ in greco) quello della fisica.
[7]
In sintesi: A non è Non-A. In linguaggio matematico: A ≠ A. La definizione di
Aristotele è la seguente: «è impossibile che il medesimo attributo, nel medesimo
tempo, appartenga e non appartenga al medesimo oggetto e sotto il medesimo
riguardo»: Aristotele, Metafisica, Libro Gamma, cap. 3, 1005 b 19-20.
[8]
In sintesi: A è uguale ad A. In linguaggio matematico: A = A.
[9]
La locuzione latina di Tertium non datur (non c’è una terza cosa) è emblematica
per spiegare questo principio in cui due proposizioni, tra loro contraddittorie,
cioè aventi una un giudizio affermativo e l’altra un giudizio negativo, non
possono essere entrambe né contemporaneamente vere né contemporaneamente false:
è necessario infatti che il giudizio di una sola di esse sia vera, e che la
falsità dell’uno implichi la verità dell’altro, senza avere una terza possibilità.
[10]
Il termine deriva dal greco ὄντος,
(genitivo singolare del participio presente ὤν
del verbo εἰμί, tr.: essere) e da λόγος («parola, discorso,
ragione»).
[11]
Ciò non nega il fatto che si siano potuti creare interi sistemi in cui il
principio di non contraddizione era di fatto negato: si pensi, tra i tanti
esempi che si possono fare, alla polemica tra Agostino e gli gnostici del V
secolo.
[12] Lo stesso linguaggio di programmazione
dei computer prevede una serie di 0 e di 1 che non si possono né mescolare né
confondere.