È peccato chiedere il divorzio civile?
Sono una donna sposata, con
quattro figli, e sono stata abbandonata da mio marito da due anni e mezzo. Si é
messo con un’altra donna. Tutti i beni sono intestati a mio marito e questi mi
minaccia di portarmi via tutto ciò che abbiamo io e i miei figli, e in più di
non lasciarmi niente per il sostentamento dei miei figli. Civilmente mi hanno
detto che posso solo preservare i miei beni e fare pressione su di lui perché
adempia i suoi obblighi esigendo da lui il divorzio civile. Ho consultato alcuni amici
cattolici su questo e uno mi hanno detto che chiedere il divorzio o concederlo
é peccato; altri mi hanno detto che non è così. Potete darmi dei chiarimenti su
questo tema?
- risponde padre Miguel Angel Fuentes, IVE
Stimata
Signora:
Innanzitutto, devo dirle che in quanto a ciò che lei dice “l’unico metodo
civile per difendere i suoi beni e il patrimonio dei suoi figli” é il divorzio,
non sono in condizioni di esprimermi. Dovrebbe essere un serio avvocato
cattolico a consigliarla su questo. Inoltre questo varierebbe in base alle
leggi vigenti in un paese o in un altro.
In quanto alla legittimità o all’illegittimità del divorzio civile, secondo
la Maggiore parte dei moralisti classici, bisogna tenere conto di alcune cose:
1. Quando é moralmente peccato
Il divorzio
civile è certamente immorale e illecito in tutti i casi in cui si chiede o si pronuncia
su:
a)
un matrimonio valido (canonico o naturale);
b)
intendendo il divorzio come rottura del vincolo
naturale o religioso;
c) con intenzione di contrarre nuove nozze (in
realtà quest’ultima condizione aggrava di più il peccato; però perché ci sia
peccato bastano le due precedenti).
Il divorzio civile di un matrimonio valido
può essere “tollerato” dalla parte innocente quando:
a) è cosciente (e lo fa registrare, per evitare
lo scandalo) che il divorzio civile non dissolve il vincolo naturale o
sacramentale, e che, pertanto, continua ad essere legata al suo coniuge per
tutta la vita;
b) è cosciente che il divorzio civile interessa
solo la sfera civile, vale a dire, l’autorità civile non li considera più come
uniti in matrimonio privando uno del diritto di decidere sul bene dell’altro,
sui figli, e attribuendo la paternità o maternità dei figli adulterini al coniuge
innocente, eccetera.;
c) non si realizza con l’intenzione di contrarre
nuove nozze ma solamente per assicurare certi diritti legittimi;
d) e non c’é altra via meno estrema per
conseguire questo stesso fine (per esempio, quando non basta la mera
separazione di “letto e tetto” temporale o anche definitiva).
A tale proposito, per esempio, dice il
Catechismo: “Se il divorzio civile rappresenta l’unica maniera possibile di
assicurare certi diritti legittimi, come la cura dei figli o la difesa del
patrimonio, può essere tollerato senza costituire una mancanza morale”. È sottinteso
che c’è vera “tolleranza” quando si compiono le condizioni sopra citate. Il
Catechismo segnala anche che se uno dei coniugi è la parte innocente di un divorzio
dettato in conformità con la legge civile, non pecca; e sembra chiarire che “essere
la parte innocente” sarebbe costituita dallo sforzarsi con sincerità ad essere
fedele al sacramento del matrimonio ed essere ingiustamente abbandonato[1].
P.
Miguel Angel Fuentes, IVE
Traduzione:
Alessandro Ferrara
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