«Se
il missionario vive di fede,
allora
è grande»
Beato
Paolo Manna, 1926
A richiesta di molti giovani pubblichiamo qui il testo della conferenza pronunciata da P.Ernesto Caparros, IVE durante il III Incontro del gruppo Voci del Verbo a Segni, che raccoglie un insieme di esortazioni dal Beato Paolo Manna[2] rivolte ai missionari. Un testo con molta forza che orienta l'azione apostolica che ogni giovane deve svolgere nel proprio contesto.
E’ il
tempo in cui ordinariamente usate raccogliervi per i SS. Spirituali Esercizi e
Dio sa quanto desidererei trovarmi assieme a voi per edificarmi dei vostri
buoni esempi, per esortarci vicendevolmente a proseguire coraggiosi e fiduciosi
nell'arduo lavoro che il Signore ci ha confidato di espandere il suo santo
Regno nel mondo delle anime (definizione di apostolato). Purtroppo i doveri
del mio ufficio ed importanti affari di alcune missioni, che richiedono la mia
presenza qui, non mi permettono di iniziare quest'anno quella visita che vi
feci ultimamente sperare; la sollecitudine però che sempre sento per le anime vostre mi spinge, benché lontano, a rivolgervi una
parola di esortazione, che voi vorrete accogliere non come da un vostro
maestro, ma come la parola affettuosa di un padre che ardentemente vi ama, e
che sente di esservi debitore di tutte le sue cure.
A. Se
i missionari saranno santi…
Beato Paolo Manna |
Noi missionari spesso ci domandiamo perché l'opera della conversione del mondo infedele vada così a rilento. Si sogliono addurre
varie ragioni per spiegare questo doloroso fatto, ed invero il problema si può considerarlo da molteplici
lati, alcuni dei quali non riguardano la nostra responsabilità. Per la parte per che ci
riguarda, ed è la
principale, il problema è
della più limpida
soluzione. Per salvare il mondo, Iddio nella sua infinita sapienza ha voluto
avere dei cooperatori. Iddio fa bene la sua parte: la fanno altrettanto bene
gli uomini chiamati a coadiuvarlo?
Facciamo
che tutta la Chiesa, tutto il popolo cristiano, diretto dai suoi vescovi e dal
suo clero senta davvero il dovere apostolico che gli incombe di promuovere con
ogni mezzo la propagazione della fede: facciamo che i missionari, strumenti
più diretti nella
conversione delle anime, siano santi, e gli infedeli non tarderanno a
convertirsi.
Il
problema delle missioni è stato
ed è tuttora quasi
ignorato dal popolo cristiano: quelli che se ne interessarono in passato furono
sempre una minoranza, ed è estremamente
doloroso vedere anche oggi, che qualche passo avanti pur si è fatto, come l'immane questione
sia ben lungi dall'essere compresa ed affrontata in pieno dal clero e dal
popolo. E’ estremamente doloroso, perché i popoli cattolici avrebbero
energie più che
sufficienti per promuovere più
degnamente l'opera dell'evangelizzazione degli infedeli, se dai
sacerdoti fossero istruiti, organizzati e soprattutto infiammati da un più grande spirito di fede e di
zelo. Il S. Padre, la S. Congregazione di Propaganda se ne occupano assai,
ma sono come generali con pochi soldati. La divina missione affidata da N.
Signore alla Chiesa di predicare il Vangelo ai popoli della terra è tutta un'opera di
cooperazione; dove questa è
scarsa, lento necessariamente sarà pure il movimento delle conversioni.
Ma non è di questo che voglio parlarvi,
perché l'argomento
interessa più specialmente
il clero dei paesi cristiani.
B. Siate Missionari santi
A
voi, missionari in servizio attivo sul campo, interessa specialmente la vostra
parte di cooperazione, ed è
perciò che a voi dico: siate
missionari santi camminando sulle orme di quei grandi che vi hanno preceduto,
e, per la parte che vi riguarda, il vostro dovere apostolico sarà pienamente compiuto: le anime
che il Signore nei suoi misericordiosi disegni ha assegnato a ciascuno di voi
perché le
conduciate a salute, saranno salve, e, nell'ultimo dei vostri giorni potrete
dire con il Divin Redentore: «Coloro che mi hai dato li ho custoditi,
nessuno di loro è andato
perduto» (Gv
17,12).
Ho
detto: siate santi, camminando sulle orme di quei grandi che vi hanno preceduto
sul campo del vostro apostolato. Sì,
abbiamo davanti a noi dei grandi esempi e desidero che ne facciamo tesoro.
Il
nostro Istituto, benché relativamente
giovane, può vantare un
deposito di apostoliche tradizioni, di metodi di apostolato così nobili, cosi vivificato dal
più alto spirito di
sacrificio, di abnegazione, di zelo, da non aver noi nulla da invidiare ai più grandi Istituti missionari.
Questo
sacro deposito è la
nostra vera ricchezza, il nostro vanto: su di esso io fondo la mia speranza
delle divine benedizioni, che accompagneranno sempre il nostro Istituto,
essendo questo che fa ben vista ed apprezzata dalla Chiesa la nostra famiglia
missionaria.
Dal P. Mazzucconi[2] (“vi
verrà in
mente che non abbiamo potuto far nulla per la missione, ma io vi potrei dire
che abbiamo fatto molto, perché abbiamo patito”) all’ultimo nostro missionario
defunto per non parlare che dei morti - quale corona di eroismi e di ignorati
martiri, quali e quante fatiche, quali sudori e quante vite sacrificate anzi
tempo per gettare i fondamenti di quelle Chiese, che voi fra tanti stenti e
privazioni continuate ad edificare! Quale è stato il segreto, quale l'anima di tanto zelo, di tanta
dedizione, di tanta perseveranza, di un eroismo che troppe volte è giunto fino al sacrificio
della vita?
Ecco,
amati confratelli, ecco quello che vogliamo indagare per esortarci a seguire
quelle orme, e, per quello che dipende da noi, cooperare con ogni nostro potere
alla conversione degli infedeli, procurando la salvezza del maggior numero
possibile di anime nelle missioni che la S. Chiesa ci ha affidate.
I
nostri missionari, anche dal punto di vista umano, sono stati uomini superiori:
fra essi alcuni sono stati eminenti per dottrina e conoscenza delle lingue,
altri per la loro particolare avvedutezza e tatto nell'assimilarsi e nel
trattare con i vari popoli da essi evangelizzati; molti furono veri strateghi
dell'apostolato nell'occupare sempre nuove posizioni: tutti furono
coraggiosi e rotti ad ogni fatica, pronti ad ogni ardimento.
Ma né ingegno, né prudenza, né coraggio li hanno fatti grandi
agli occhi nostri e a quelli di Dio: sono stati grandi, hanno salvato molte
anime, hanno fondato Chiese, principalmente perché sono stati uomini santi,
uomini cioè di
vita interiore: questo è
stato il segreto, l'anima del loro zelo, della loro perseveranza e
dei loro successi; questo è
il solenne insegnamento che ci hanno tramandato e che io amo ricordarvi,
perché sempre i
nostri missionari di oggi e quelli di domani fondino su di esso la ragione
prima ed essenziale della santificazione loro e delle anime che sono e saranno
loro affidate.
Il
fervore della vita di un missionario, la sua attività regolare, sapiente, industriosa, instancabile, la gioia
inalterabile della sua vita e la sua perseveranza nel lavoro, pure in mezzo a
privazioni, traversie e difficoltà,
sono sempre il risultato di una vita di fede.
Se
la fede si offusca, anche lo zelo diminuisce di intensità; si affacciano allora,
anche ai più forti,
la stanchezza e lo scoraggiamento e si può arrivare sino alla completa sfiducia ed alla perdita della
vocazione.
Se il
missionario vive di fede, allora è grande, è sublime, è divino: la Chiesa e le anime
si possono tutto attendere da lui: nessuna fatica, nessuna difficoltà lo spaventano, nessun eroismo
è superiore alle
sue forze; se lo spirito di fede in lui è languido e fiacco, egli si muoverà, lavorerà pure,
ma a poco o nulla approderanno le sue fatiche, ed il poco successo delle sue
opere, fatte senza spirito, accrescerà
in lui la sfiducia e l'avvilimento.
C. Il missionario è l'uomo della fede
Il missionario è per eccellenza l'uomo della
fede: nasce dalla fede, vive della fede, per questa volentieri lavora, patisce
e muore. Il missionario che non è questo, è
tutt'al più un
dilettante dell'apostolato, sarà
presto un ingombro per la Missione, un fallimento per se stesso, quando,
Dio non voglia, non sarà anche
causa di rovina per le anime. Senza la fede il missionario non si spiega, non
esiste; e, se esiste, non è
il vero missionario di G. Cristo.
E
missionario che vuol vivere e mantenersi all'altezza della sua vocazione deve
nutrire costantemente questo spirito di fede, illuminandosi ed infervorandosi
con la meditazione delle grandi verità della nostra S. Religione: deve attingere da Dio, del Quale
è strumento, con
continua preghiera, la grazia di cui abbisogna per i suoi ministeri, e senza la
quale egli nulla può in
ordine all'eterna salute dell'anima sua e di quelle che egli è andato ad evangelizzare.
Meditazione
dunque e preghiera, ecco la forza del missionario, le uniche vere sorgenti e
ragioni del suo zelo, della sua perseveranza, del suo successo.
Un
missionario che trova noiosa mezz'ora di meditazione, che dice distrattamente
il suo ufficio e strapazza la S. Messa, che ha poca familiarità con il SS. Sacramento e con la
SS. Vergine... che, con il pretesto delle opere e del lavoro che l'occupano, fa
poco conto della meditazione e delle altre pratiche di pietà, tale missionario è un povero illuso: il suo
lavoro è vano e senza vera
consistenza, ed i progetti, dei quali può anche avere piena la bocca, sono null'altro che pure e
semplici chiacchiere, spesso espressione di un animo vano e leggero.
D.
Salvare le anime come le ha salvate Gesù Cristo
La
grande, sublime missione dell'uomo apostolico è quella di salvare le anime, e di salvarle come le ha
salvate Gesù Cristo.
Perché possa degnamente assolvere
questo compito divino il missionario deve aver sempre presenti i grandi motivi
che gli impongono come una legge, come una necessità il dovere dell'apostolato, lo zelo per la salute delle
anime.
Egli perciò mediterà sovente
sull'amore di Dio per le anime, sul
loro pregio ed eccellenza, sul pericolo in cui la maggior parte di esse si
trovano di andare eternamente perdute, sulla
nobiltà della vocazione apostolica più di ogni altra ricca di meriti,
e sul premio inenarrabile riservato ai veri apostoli del Vangelo.
La
creazione di questo nostro mirabile mondo, il mistero ineffabile della divina
Redenzione, la santificazione delle anime che ha richiesto tanti miracoli della
divina onnipotenza: la SS. Eucaristia, la SS. Vergine, la Chiesa, tutto ci dice
quanto Iddio abbia amato ed ami le anime. Non c'è un solo oggetto di meditazione che non possa essere rivolto
a dirci, a persuaderci dell'amore immenso, incommensurabile di Dio per le
anime.
Ordine
naturale e soprannaturale, creazione e Redenzione con tutti i loro misteri,
tutto quello che Dio ha fatto, fa e farà, tutto è alla
fine ordinato alla salvezza delle anime, tutto è effetto del grande amore di Dio per le anime.
Queste
cose deve quotidianamente meditare il missionario: allora il suo zelo sarà fondato su granitica base: sa
egli allora perché
si muove, perché
s'affatica, e come deve trattare le anime.
Il missionario
deve presentarsi ai popoli infedeli come alter Christus. E missionario di fatto
non è niente se non
impersona Gesù Cristo. Quando
nel missionario appare l'uomo, allora egli è inefficace.
E. Il missionario è un altro Cristo
E’ perché in tanti missionari della
Chiesa Cattolica non è ritratto
perfettamente Gesù Cristo,
che gli infedeli non si convertono. Come volete che si converta il povero
infedele, se nel missionario cattolico non vede che l'europeo, o tutto al più un ministro della religione
dei dominatori, non dissimile, almeno esternamente, dall'infinita varietà dei ministri protestanti? Come
volete che le anime degli infedeli si pieghino davanti al missionario altero,
sprezzante, interessato, amante del bere e delle allegre brigate?
Amati
confratelli, si dice che i missionari sono pochi; ma quanti più pochi sono i veri missionari,
i missionari che ritraggono in tutta la loro vita la figura divina di Cristo!
Ma come ritrarranno, come imiteranno Gesù Cristo se non lo faranno oggetto della loro continua
meditazione?
E
restringendo l'esame a noi soli, come, ditemi, copieremo questo divino Modello,
come ne ritrarremo le divine fattezze nelle anime nostre senza fissarlo
continuamente, senza studiarne ed analizzarne la vita dalla culla alla croce,
all'altare? E’ per questo che il S. Vangelo dovrebbe essere la
nostra lettura giornaliera, il nostro abituale libro di meditazione, libro che
mai si esaurisce perché mai
si finisce di studiarlo, di comprenderlo e di realizzarlo nella nostra vita.
Solo
il missionario che copia fedelmente Gesù in se stesso, e può dire ai popoli con l'apostolo S. Paolo: «fatevi
miei imitatore, come io lo sono di Cristo» (1Cor 4,16), solo lui può riprodurne l'immagine nelle anime degli altri.
Chi
non fa così,
invano s'affatica ed invano si lamenta se le sue fatiche non sono corrisposte.
Il
missionario deve nutrire un tenero amore, deve avere una vera passione per le
anime. Ma come l'avrà questo
amore se non è uomo di
orazione? E’ dalla meditazione di quello che Gesù benedetto ha fatto per la salvezza delle anime che spuntò la nostra vocazione. Il
Crocifisso ci fece missionari, ed è il Crocifisso ancora che deve nutrire in noi l'amore per le
anime.
Prendiamo
quindi spesso a soggetto delle nostre meditazioni i misteri della passione e
morte di nostro Signore, e facciamoci di questo una regola specialmente nel
tempo sacro della Quaresima. Questi misteri sono la vera sorgente dello zelo
apostolico: pensando ai patimenti di Gesù, pensando alla Croce, alle umiliazioni del Calvario
s'impara ad amare le anime e ad abbracciare ogni sacrificio per procurarne la
salute.
Ogni
zelo che non zampilla dal mistero della Croce è effimero, perché
solo l'esempio di quanto Gesù
Cristo ha sofferto per le anime può efficacemente spronarci ad abbracciare i sacrifici
inerenti
ad ogni opera di vero zelo. Innamorati di Gesù Crocifisso, saremo indubbiamente grandi salvatori di anime.
Gli
autori del prezioso libretto Monita ad Missionarios si domandano come mai missionari,
che pure avevano fatto i tre voti di povertà, castità e
obbedienza, poterono nelle missioni cadere vittime dell'avarizia, della
mollezza e della vanità,
e non sanno trovare altra ragione, «se non che si era affievolito molto in
quelle regioni (dell'India) lo spirito di orazione. Ricordato il precetto di
Cristo: Vigilate e pregate per non cadere nella tentazione, dicono che, se tale
fu l'ordine di N. Signore agli Apostoli, quanta ragione abbiamo noi di dire che
il missionario apostolico deve nutrirsi ogni giorno del pane dell'orazione! Se
egli trascura di nutrirsene, necessariamente verrà meno lungo la via della virtù»*. Gravi
parole, scritte centinaia di anni addietro, ma troppo vere anche oggi!
F.
Esortazioni ai missionari
E questi
santi autori vogliono che il missionario consacri ogni giorno non meno di due
ore all'esercizio dell'orazione. Io non dico due ore, ma, amati confratelli,
credetelo, un'ora di meditazione, anche divisa in due tempi, come si praticava
negli anni di seminario, non è davvero
troppo!
Poiché può avvenire
che doveri di ministero ci impediscano talvolta di fare la nostra meditazione
mattutina, all'ora fissataci dal nostro orario, badiamo di non tralasciarla per
questo.
Al
missionario fervoroso e di buona volontà non mancherà
mai modo di trovare nella giornata un'ora per segregarsi ed attendere
alla sua orazione. Che se anche ciò
non fosse possibile, v'è sempre
la sera per poter raccogliersi e pregare, come usavano fare, sull'esempio di N.
Signore, tutti i santi uomini apostolici.
Missionari, uomini cioè anche
naturalmente forti e decisi, non facciamo le cose a metà. Facendoci missionari abbiamo
inteso darci tutti interi a Gesù
Cristo. Se non Gli saremo uniti con una grande totale dedizione, che non
può aversi da chi
non prega, Egli sarà costretto
dalla nostra poca generosità
a starsene lontano da noi; verremo così a privarci di un grande cumulo di grazie, e indubbiamente
cadremo nella nostra miseria.
Siamo
uniti a Dio mediante una vita di meditazione e diventeremo strumenti mirabili
delle sue misericordie. Non ci illudiamo lo zelo apostolico, senza del quale
nulla siamo come missionari, non divampa che da un cuore acceso d'amore di Dio.
Quando il nostro cuore sarà
unito a Dio nell'intimità
della meditazione e della preghiera, allora «arde il
fuoco»* e il nostro amore ci suggerirà quello zelo ingegnoso, pratico, perseverante, infaticabile
che contraddistingue il vero apostolo di Gesù Cristo.
Amatissimi
confratelli, amiamo la nostra meditazione. Essa sola ha il segreto di far
gioconda e felice la nostra vita di Missionari, perché ci trasforma, ci trasfigura, ci divinizza. Se vi saremo
fedeli, se non le lesineremo il tempo, il Signore ci ripagherà con grande generosità, e noi vi resteremo così affezionati da meravigliarci
come avremo potuto talvolta trascurarla.
Uscendo
dalla meditazione, in cui ci siamo illuminati agli eterni splendori di Dio e
delle nostre eterne verità,
noi vedremo meglio Gesù in
noi, vedremo Gesù nelle
anime, vedremo Gesù in
tutto e non avremo altra brama che di piacergli e procurarne la gioia con ogni
nostro potere.
Fedeli
alla nostra meditazione, ci sarà
facile rimanere fedeli a tutte le altre nostre pratiche di pietà, ci sarà facile vivere in quello spirito di continua orazione, che è l'atmosfera nella quale sa
muoversi e lavorare il fedele missionario di Gesù Cristo.
G.
Necessità della
preghiera
«E’ necessario
pregare sempre» (Lc 18,1)
è una raccomandazione per
tutti: per noi è una
legge, una necessità, una
condizione indispensabile per riuscire nella nostra divina missione intrapresa
e per vincere tutte le difficoltà
che vi si oppongono.
Quante
difficoltà sul
sentiero di un uomo apostolico! Io penso spesso a voi, amati confratelli, e
mentre vi ammiro per le belle e grandi opere che compite, e vi venero per gli
enormi sacrifici che con gioia ogni giorno abbracciate per amore di Gesù, per amore delle anime, per
voi pure tante volte sono preoccupato, specialmente quando attraverso la vostra
corrispondenza intravedo segni, sia pur lievi, di sfiducia e di tristezza.
Ad
onore dei nostri missionari debbo dire che mai nessuno si è lamentato dei disagi, delle
privazioni, delle fatiche delle quali è intessuta la vita di missione; troppo nobile è il vostro cuore per dare peso
e rilievo a queste cose; ma ci sono difficoltà ed angosce morali che conobbero anche i santi Apostoli, e
S. Paolo ce ne fa spesso cenno nelle sue Lettere: pene ed angosce che anche voi
provate, le quali sono capaci di abbattere gli animi più forti e generosi, se non sono
sostenuti da una potente grazia di Dio.
La
poca corrispondenza, le defezioni, l'ingratitudine dei convertiti; la
solitudine e l'abbandono; i malintesi che possono aver luogo tra i confratelli
e con i superiori e il sentirsi mal compresi ed apprezzati; la pochezza dei
mezzi che non permettono di fare tutto quello che si vorrebbe e le male arti
dei pagani e protestanti che ostacolano il progresso delle nostre opere; senza
dire degli assalti delle tentazioni e delle lotte con lo spirito maligno che
attenta alle nostre anime, sono tutte difficoltà capaci di produrre in noi tristezza e sfiducia.
Chi potrà sostenervi in tali frangenti?
Dio, solo Dio, se pregato con spirito di umiltà e di filiale, fiducioso abbandono. Oh, sì! Tutti hanno bisogno di
pregare, ma quanto maggior bisogno ha il missionario di pregare e di pregare
sempre, egli che va a portar guerra al demonio nei suoi stessi dominii, ed ha
contro di sé tutto
un mondo di nequizie, che ama tanto di rimanere nelle sue tenebre!
Quando
in mezzo all'una o all'altra delle vostre difficoltà voi vi gettate ai piedi di un
Crocifisso o del Tabernacolo, e dite a Gesù che è
per Lui che combattete, è
per i suoi interessi che soffrite, che è la causa sua che è in pericolo; quando invece di indispettirvi contro i vostri
nemici, per essi implorate misericordia e perdono, oh! allora, siatene certi,
non sentirete più ombra
di avvilimento e di tristezza, ma uscirete dalla vostra fervida orazione come
da un bagno salutare, freschi e rasserenati e sempre o vincitori, o più forti per continuare il vostro
combattimento.
Un'ora
di orazione scioglie più difficoltà che molte discussioni; una
fervida preghiera, illuminando lo spirito alla luce eterna di Dio, confortando
il cuore al calore vivificatone del Cuore di Gesù, snebbia il nostro amor proprio, ci infonde umiltà e generosità, e molte difficoltà,
che prima ci sembravano gravi ed insormontabili, ci appaiono come cose
trascurabili.
Amati confratelli, bisogna pregare e pregare sempre. Il missionario ha più del prete in patria non solo
la necessità, ma anche la
possibilità di pregare.
La vita
di missione trascorsa il più delle
volte fra le vaste solitudini, fra le foreste e i monti silenziosi, fra genti
semplici e povere ha non pochi punti di contatto con la vita degli eremi e
molto favorisce lo spirito di contemplazione e di raccoglimento.
Quando
il missionario ha compiuto i suoi giri di missione e si ritira nel capoluogo
del suo distretto, di quanta pace, di quanto silenzio e tranquillità egli gode! Quanto a lungo può trattenersi egli allora con il
suo Signore che è là nel Tabernacolo della sua
chiesetta, che è là principalmente per Lui! Se il
missionario è uomo di
fede, quante grazie può allora
ottenere per sé e per le
anime che gli sono affidate, quante grazie può immagazzinare per condurre felicemente a porto i suoi
progetti, per far prosperare le sue apostoliche imprese!
E pure
in questi tempi di respiro che il buon missionario fa il suo giorno di ritiro mensile,
per rinnovarsi nello spirito e pigliar nuova lena per proseguire con sempre
maggior fervore e più saldi
propositi nella santa sua vocazione di salvatore delle anime.
Solitario nella solitudine, il missionario deve però esser pronto ad abbandonarla sempre che il suo dovere, il
bene delle anime, lo richiede, memore che la vera santità non sta nel dolce godimento di
uno spirituale riposo, ma nel perfetto adempimento della volontà di Dio, che per lui è il disimpegno fedele dei suoi
doveri di uomo apostolico, che in nulla si risparmia per procurare la gloria di
Dio nella salvezza delle anime.
Ma il
missionario santo, se interrompe la sua solitudine materiale, non interrompe
già le sue comunicazioni
con Dio. Se non può portare
con sé Gesù Sacramentato, porta con sé il suo raccoglimento e la sua interiore solitudine: sa che
egli è tempio dello
Spirito Santo, che Gesù,
ogni mattina, scendendo dal cielo in lui, fa la sua abitazione nel suo cuore.
Anche nei più laboriosi
ministeri, egli, come gli angeli nei loro uffici, non distoglie il suo spirito
da Dio, e prega anche viaggiando, anche in mezzo al più intenso lavoro.
Come è facile, come è deliziosa la preghiera che può fare il missionario nei suoi
lunghi e frequenti viaggi! Tante volte la natura, con i mirabili spettacoli che
offre continuamente ai suoi sguardi, l'inviterà alla contemplazione della bellezza e grandezza di Dio;
altre volte la vista dei paesi pagani che attraversa gli strapperà dal cuore vive suppliche per
la loro conversione; sempre egli può
sgranare il suo Rosario e spargere lungo il cammino piccoli semi di
preghiera che non cadranno certamente invano.
Prima la
preghiera, poi la predicazione
Quanto si sbagliano e di quali e quanti spirituali soccorsi si privano quei
missionari che trascurano l'orazione e gli ordinari esercizi di pietà, sotto pretesto che non hanno
tempo di pregare per la molteplicità
dei loro ministeri, quasi che si possano trattare gli interessi di Dio
dimenticando Iddio, e trascurando l'anima propria!
Miei
cari confratelli, non vi sia uno solo tra voi che cada in questo abbaglio
funesto. Non avete certo da faticare più dei SS. Apostoli; ebbene, lo sapete, essi non accorciarono
mai le loro preghiere: preferirono anzi sbarazzarsi di alcune incombenze pur
sante, per applicarsi prima alla preghiera poi alla predicazione. «Noi,
invece, ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola»(At 6,4).
E poi,
siamo sinceri: è proprio
puro amore di Dio, vero zelo per le anime quello che rende taluno abitualmente
trascurato nelle sue pratiche di pietà?
Egli trova pur tempo per effondersi in tante attività di puro ordine esteriore e di assai dubbia utilità per un serio lavoro
apostolico... egli ha pur tempo per quelle visite inutili, per quelle letture
vane, per quelle
partite
di gioco e di caccia, per quelle lunghe ricreazioni e conversazioni protratte
fino a tarda ora... E staremo a lesinare il tempo proprio con N. Signore?
Non
dimenticatelo, amati confratelli, oportet semper orare, e quando non si prega
non si è più contenti di essere in
Missione, se questa è difficile
ed ardua; o, se offre
comodità, vi ci si
rimane perché in Italia
si starebbe peggio; ma di bene non se ne fa più: si è di
cattivo esempio ai missionari giovani, di fastidio ai superiori, di nessuna
edificazione ai neofiti.
Ho detto
che si è di cattivo
esempio ai missionari giovani. Il punto è di sommo rilievo e voglio dirne una parola.
H.
Consigli ai giovani missionari
Talvolta ci si lamenta che giovani missionari non danno quel rendimento che da
essi si sarebbe potuto aspettare, non prendono l'avviamento e la forma di santi
ed esemplari operai del Vangelo.
Si
attribuisce il fatto assai doloroso a scarsa vocazione, o alla incompleta
formazione che questi giovani avrebbero avuto nei seminari da cui sono usciti.
E può anche essere; ma
potrebbe anche verificarsi l'ipotesi che questi giovani, entrati in missione e
trovatisi sciolti dai legami della disciplina del seminario, non abbiano
trovato in quell'ambiente la disciplina ben persuasiva e trascinante del buon
esempio dei missionari più vecchi
con i quali furono destinati a lavorare.
E
grave errore pensare che il missionario, mandato in missione quando ha appena
terminato i suoi ordinari corsi di seminario, abbia con questo terminato la sua
completa preparazione. C'è
un'altra preparazione, che non si può dare in
Italia: c'è la
preparazione immediata che il missionario deve ricevere e se la deve fare
nell'ambiente in cui è destinato
a lavorare. Questa in certo modo è la più
importante preparazione, quella che resta per la vita.
Il
missionario giovane farà in
tutto quello che vedrà fare:
anche se scarsa fosse stata la preparazione ricevuta in Italia, l'esempio
vivente dei missionari provetti che trova sul campo avrà una forza decisiva per educarlo a quelle virtù, quel metodo di vita che
dovranno accompagnarlo in tutti i suoi giorni.
E’ della
massima importanza che il novello missionario tenga sempre vivo ed acceso
l'iniziale fervore con il quale generalmente egli parte dalla patria ed
affronta il mondo per lui nuovo della missione. Qui egli deve per convinzione
dedicarsi a quelle pratiche di pietà
che in seminario faceva aiutato dall'orario. Quanto gioverà al missionario per questo il
buon esempio dei suoi confratelli! Quanto deleterio gli tornerà invece un esempio di
trascuratezza in materia così importante!
I miei confratelli intendono, meglio che io sappia esprimermi, tutto quello che
voglio dire.
L'esempio
è una grande cosa
dappertutto: ma ha una importanza massima per noi missionari, perché missionario vuol dire tutto
quello che vi è di
più alto, di più perfetto ed eroico nella
sequela di N. Signore; tutto quello perciò che urta con questa concezione fa male e ferisce lo
spirito.
Sono
ormai vent'anni che sono in Italia e posso vantare una qualche esperienza su
questo punto. Passano per il seminario missionari reduci «ferventi
nello spirito»( Rm 12,11), e sono d'immensa edificazione:i giovani vedono ed
imparano e si sentono sempre più
fortificati nella loro vocazione. La vista di questi uomini ha più efficacia che tante
esortazioni dei superiori.
Passa
alcun altro trasandato nella pietà,
che dice la S. Messa a vapore, che non si fa vedere alle pratiche comuni? E’ pure
osservato e l'effetto è disastroso. Non sarà così pure in Missione? Ma chiudo la parentesi.
I. La
nostra patria è nei
cieli
Per raggiungere le anime, per conquistarle non servono i mezzi umani. Siamo
sulla terra fra gli uomini, ma trattiamo interessi del tutto celesti e divini,
lavoriamo in un mondo soprannaturale. Per muoverci con successo in questa sfera
dobbiamo essere in continua comunicazione con Dio, dobbiamo essere uomini «la
cui patria è nei
cieli» (Fil 3,20).
Solo così le
nostre parole e le nostre fatiche avranno efficacia, ed arriveranno fino alle
anime, fino al cuore di Dio.
Vi
sono dei missionari che pure lavorano, fondano e promuovono opere, predicano e
si affaticano in tanti modi, ma raccolgono pochi frutti e troppo poche anime
convertono. Il fatto è che
non pregano abbastanza, ed il loro è un lavoro in gran parte meccanico, poco o niente vivificato
dalla grazia, che è indispensabile
per guadagnare le anime.
C'indispettiamo
talvolta di non riuscire a grandi cose, di ottenere pochi risultati dalle
nostre fatiche; ci lamentiamo della durezza di cuore dei neofiti e dei pagani,
che non rispondono alle nostre cure; ma noi, che siamo ben convinti d'aver
molto lavorato, c'interroghiamo se abbiamo pure altrettanto pregato?
Siate uomini di vita interiore, uomini di preghiera e, se anche foste scarsi di
doni naturali, la grazia di Dio supplirà abbondantemente a quello che vi manca.
Quante
volte missionari di pochi numeri, ma santi, hanno ottenuto grandi frutti di
bene in missioni, dove altri più
intelligente e bravi hanno lavorato invano!
Vale
saper predicare, ma vale molto di più saper pregare. Il missionario che possiede bene la lingua e
sa predicare, ma che prega poco, esporrà ottimamente le verità della nostra S. Religione, ma lascerà fredde le anime: il
missionario che ha molta intimità con Dio nella preghiera, anche se non è felice nell'esposizione, avrà sempre il dono di trasfondere
lo spirito di Gesù Cristo
nelle anime, che è poi
quello che la predicazione deve anzitutto ottenere. Il primo insegnerà Gesù Cristo, l'altro lo farà vedere. Voi intendete la differenza! «Se colui
che insegna non è uomo di
vita interiore, la sua lingua dirà
cose vuote» (S. Gregorio) «Nisi intus sit qui doceat, lingua doctoris
in vacuum laborat».
J. Né sfiducia, né pessimismo
Talvolta la sfiducia, il pessimismo possono insidiare un missionario nel bel
mezzo della sua apostolica carriera. Ebbene, anche qui non c'è altro rimedio che la
preghiera, la quale mettendoci al nostro posto di supplicanti, ci fa vedere la
nostra miseria, e ci fa anche vedere da qual parte dobbiamo attenderci il
conforto ed il frutto delle nostre fatiche.
Non
s'incontrano missionari, che sono uomini di preghiera, i quali siano pessimisti
sul lavoro delle missioni. E quando in missione o fuori si sente dire da
qualche missionario, che, dopo tutto, i risultati che si ottengono nel lavoro
apostolico fra gli infedeli non corrispondono agli sforzi che si fanno per
ottenerli, è certo che
chi così parla non è uomo di preghiera.
Dobbiamo
ritenere come di fede che, come ogni preghiera è esaudita infallibilmente in
proporzione della sua perfezione morale, così ogni fatica fatta per Dio ad
ottenere la conversione delle anime è efficace nella proporzione con cui è vivificata dalla preghiera. Il
risultato delle nostre fatiche lo vedremo o non lo vedremo quaggiù, ma esso c'è, e Dio ne tien conto. La
fedeltà,
l'onnipotenza, la bontà
di Dio ci sono garanti di questo, perché, uniti a Dio per mezzo della preghiera,
non siamo più noi
che lavoriamo, ma è
Lui che lavora in noi e per nostro mezzo, e Dio non lavora mai invano.
Il
missionario non deve mai essere sfiduciato: è un'offesa che egli fa a quel
Dio onnipotente che lo ha chiamato e per il Quale egli lavora. Il vero
missionario è sempre
ottimista, è sempre
fervido di entusiasmo, di quell'entusiasmo che un giorno gli fece lasciar tutto
e lo mise alla sequela di N. Signore
nelle vie dell’apostolato.
Riandate,
cari confratelli, dal principio tutta la storia della vostra santa vocazione.
Quali e quante difficoltà aveste
a superare, quanti distacchi, quanti sacrifici e dolori e lacrime! Avevate
davanti un grande miraggio di eroismi e vi spingeva la brama di dare a Gesù la prova di un più grande amore.
E oggi,
dopo che sono trascorsi tanti anni dai fervori della vostra prima Messa, della
indimenticabile funzione di partenza, si mantiene sempre in voi vivo lo stesso
entusiasmo, la stessa brama di lavorare per Gesù, di guadagnargli anime in gran numero, di soffrire tanto
per Lui, che per voi stimò poco
dare tutto il suo sangue e la vita? Se tale è tuttora la disposizione del vostro animo, godete e
ringraziatene Iddio, perché ne
avete ben ragione; ma se taluno si sentisse sfiduciato e scoraggiato, se gli
sembrasse di essere illuso, se si sentisse freddo e senza entusiasmo, si
esamini, per favore, quale è stata
nei suoi anni di missione la sua vita di preghiera. Si esamini
spassionatamente, severamente, e forse troverà la chiave dell'enigma, la ragione del suo raffreddamento,
come chiaro gli apparirà pure
il rimedio per uscirne.
K. Il
culto dell’Eucaristia
Terminando questa breve esortazione, non posso non dire una parola in
particolare su un altro importantissimo elemento di vita interiore, sulla
devozione alla divina Eucaristia che vorrei fervidissima in tutti i nostri
missionari.
Gesù per noi è
tutto, e Gesù è nella S. Eucaristia. E allora
che cosa ci può mancare?
Se manchiamo di qualche cosa, non è perché ci teniamo lontani da Lui, che
è la sorgente di
tutte le grazie? Da queste semplici parole tirate voi le conseguenze.
Della
S. Messa fate il vostro paradiso: il S. Tabernacolo sia la calamita che vi
attiri irresistibilmente. Davanti al S. Tabernacolo passerete le più belle ore della vostra
esistenza e le più utili
per il vostro apostolato: attorno ad esso attirate i vostri neofiti e li farete
infallibilmente migliori.
In tutte
le case che ha l'Istituto in Italia ogni sera si apre il S. Tabernacolo e si dà la Benedizione eucaristica.
Annetto la massima importanza a questa pratica, perché, se Gesù ci benedice, non avremo nulla
da temere per noi e per le nostre opere. Questa benedizione la imploriamo non
solo per noi, ma per voi tutti che, sparsi per il mondo fra gravi pericoli e
fatiche, avete tanto bisogno di grazie e di conforto.
«Guardate
a Lui e sarete raggianti» (Sal
33,6): stringiamoci attorno al Cuore Eucaristico di Gesù ed a questa immensa fornace di amore i nostri cuori si
santificheranno e si accenderanno di tanto ardore di zelo da attirare dietro a
noi anime senza numero. Così avremo
raggiunto il fine della nostra vita che è la nostra santificazione, ed il fine della nostra divina
vocazione che è la
salvezza delle anime che ci sono affidate.
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[1] Il Beato Padre Paolo Manna nacque ad Avellino il 16 gennaio 1872. Dopo gli studi elementari e tecnici ad Avellino e a Napoli proseguì i suoi studi a Roma. Mentre frequentava l'Università Gregoriana per la Filosofia, seguendo la chiamata del Signore, nel settembre 1891 entrò nel Seminario dell'Istituto Missioni Estere a Milano per i corsi teologici. Il 19 maggio 1894 ricevette l'ordinazione sacerdotale nel Duomo di Milano.
Il 27 settembre 1895 partì per la Missione di Toungoo nella Birmania Orientale. Vi lavorò a tre riprese per un decennio, fino a che nel 1907 per grave malattia rimpatriò definitivamente.
Dal 1909 in poi, per oltre quarant'anni, si dedicò con tutte le sue forze, con gli scritti e con le opere, a diffondere l'idea missionaria tra il popolo ed il clero. Per "risolvere nel modo più radicale possibile il problema della cooperazione dei cattolici all'apostolato", nel 1916 fondò l'Unione Missionaria del Clero, elevata da Pio XII a "Pontificia" nel 1956. Il suo principio era che un clero missionario avrebbe animato missionariamente tutto il popolo cristiano. Oggi L’Unione Missionaria del Clero è diffusa in tutto il mondo cattolico ed accoglie nelle sue file anche seminaristi, religiosi, religiose e laici consacrati.
Direttore di " Le Missioni Cattoliche" nel 1909, nel 1914 fondò "Propaganda Missionaria", foglio popolare a larghissima diffusione, e nel 1919 anche "Italia Missionaria" per la gioventù.
Su incarico della S.C. de Propaganda Fide, per un maggiore sviluppo missionario del Sud d'Italia, il Padre Manna aprì a Ducenta (Caserta ) il Seminario Meridionale "S.Cuore" per le Missioni Estere, progetto da tanto tempo da lui caldeggiato.
Nel 1924 venne eletto Superiore Generale dell'Istituto Missioni Estere di Milano, che nel 1926, per l'unione col Seminario Missionario di Roma, per volontà di Pio XI diventò il Pontificio Istituto Missioni Estere ( P.I.M.E.).
Su mandato dell'Assemblea Generale del P.I.M.E. (1934), nel 1936 ebbe parte di primo piano alla fondazione delle Missionarie dell' Immacolata.
Dal 1937 al 1941 diresse il Segretariato Internazionale dell'Unione Missionaria del Clero.
Eretta nel 1943 la Provincia P.I.M.E dell’Italia Meridionale, Padre Manna ne divenne primo Superiore, trasferendosi così a Ducenta, ove fondò pure "Venga il tuo regno", periodico missionario per le famiglie.
P. Manna ha avuto una grande attività di scrittore e pubblicista con opuscoli e libri, che hanno lasciato una traccia duratura, come " Operarii autem pauci", " I Fratelli separati e noi" , " Le nostre Chiese e la propagazione del Vangelo", e " Virtù Apostoliche ". Formulò anche proposte innovative circa i metodi missionari, precorrendo il Vaticano II. Ma soprattutto rimane di lui l'esempio d'una vita interamente animata da una totale passione missionaria, che nessuna prova o malattia potè mai diminuire. Giustamente fu definito dal Tragella, suo primo biografo, "Un'anima di fuoco". Il suo motto sino alla fine fu: "Tutta la Chiesa per tutto il mondo!".
Padre Paolo Manna morì a Napoli il 15 settembre 1952. Le sue spoglie riposano a Ducenta, nel “suo Seminario” che il 13 dicembre 1990 venne visitato da Papa Giovanni Paolo II.
Iniziate a Napoli nel 1971 le pratiche per la Causa di Beatificazione, si sono concluse a Roma il 24 aprile 2001 col decreto papale sul miracolo attribuito al Servo di Dio.
[2] Guardata con occhio puramente umano l’avventura umana di Padre Giovanni Mazzucconi è davvero un fallimento unico. Perché non ha registrato conversioni, battesimi, predicazioni, successi missionari e, per di più, si conclude tragicamente, a poco più di 29 anni, con un colpo di scure che gli fracassa il cranio. Eppure è una vita ed una morte che hanno ricevuto dalla Chiesa il sigillo del martirio. Nasce a Recco, una frazione di Lecco, nel 1826, in una famiglia che vive respirando il Vangelo e praticando la carità, ed i frutti si vedono: dei dodici figli, tre diventeranno sacerdoti e quattro saranno suore. Giovanni entra nel seminario diocesano, ma viene contagiato quasi subito dall’ideale missionario. Il direttore spirituale gli dà del matto e gli dice che le sue “Indie” sono qui, ma lui, con l’entusiasmo proprio dei giovani, sogna ad occhi aperti le missioni ed intanto prega e spera che anche in Italia venga fondato un “seminario missionario”, un istituto cioè in grado di preparare i sacerdoti per le missioni. Il sogno si traduce in realtà quando Angelo Ramazzotti, un avvocato che si è fatto prete tra gli Oblati di Rho e che poi sarà vescovo, riesce a dare vita ad un istituto missionario (l’attuale P.I.M.E.), ma lui, Giovanni, deve ancora aspettare. Prete a maggio del 1850, dopo due mesi è già a Saronno, nella prima casa che il Ramazzotti è riuscito ad inaugurare: insieme a pochi altri studia, prega, si dedica ad opere di carità. Soprattutto si allena ad una vita di sobrietà e sacrificio, perché sa che la vita missionaria comporterà un sacco di rinunce. E continua a sognare: questa volta, di andare missionario in Oceania. Perché sono pochi i missionari che l’hanno raggiunta e perché quei pochi han dovuto quasi tutti rinunciarvi poco dopo per le difficoltà, le malattie e l’ostilità della gente. Lo destinano per la Melanesia-Micronesia, salpa da Londra a marzo del 1852 e dopo tre mesi e mezzo di navigazione approda in Australia: giusto il tempo per studiare la lingua e le abitudini delle popolazioni e poi riparte, destinazione l’isola di Rook. Qui non trova nulla, neppure una casa e insieme ai confratelli si sistema come può. L’ambiente è chiuso, ostile, diffidente e bisogna accontentarsi: “per adesso la missione bisogna farla con lo stare sempre con la gente…poi quando il Signore vorrà parleremo anche di Lui”. Si ammala quasi subito di malaria: corpo gonfio, piaghe dolorosissime, febbri, deliri, il tutto peggiorato dal clima pessimo, dalla mancanza di medicinali e dalla scarsità di cibo. In poco più di due anni è ridotto veramente male e così gli ordinano di tornare in Australia per farsi curare. Obbedisce, naturalmente, e si rimette addirittura in salute in breve tempo, tanto che pochi mesi dopo vuol tornare nella sua isola. Non sa che laggiù la situazione è precipitata: un catechista è già morto; gli altri confratelli, sfiduciati, stanno per arrivare anch’essi in Australia; i superiori dall’Italia hanno decretato che non avrebbero mandato rinforzi per non mettere in pericolo altre vite umane. La sua fretta di tornare in missione e le difficoltà di comunicare con i confratelli fanno sì che le due navi non si incrocino e così mentre lui parte gli altri arrivano. Quando la piccola nave che lo trasporta arriva in prossimità dell’isola di Woodlark viene subito circondata dalle canoe della gente del posto. Un notabile dell’isola balza sulla nave, si avvicina a Padre Giovanni come per salutarlo, ma quando gli è vicino gli sferra sul capo un colpo tremendo di scure. Inizia così il massacro e il saccheggio della nave e tutti i cadaveri sono gettati in mare: l’odio così a lungo covato verso i missionari e verso il cristianesimo ha fatto di Padre Giovanni la prima vittima cruenta. Ha poco più di 29 anni e, pesando con la bilancia umana, vien quasi da dire che fino ad allora non ha fatto granchè, come lui stesso ha previsto: “Vi verrà in mente che non abbiamo potuto far nulla per la missione, ma io vi potrei dire che abbiamo fatto molto, perché abbiamo patito”. Dello stesso avviso è stato il Papa, che il 19 febbraio 1984 ha proclamato beato Padre Giovanni Mazzucconi, il giovane che per la missione aveva patito fino a morire.
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